domenica 4 maggio 2014

Un paradigma per l'accettazione delle personalità dei nostri figli


diffusa nel newsgroup da LIVIA BOTTA, (www.liviabotta.it, www.adozionescuola.it), pubblichiamo volentieri questa lettera molto significativa sull'importanza, per la società, dell'adozione come modello virtuoso di genitorialità e accoglienza.

Gent. ma dott. ssa Livia Botta,
dopo aver partecipato all' incontro di presentazione del Vademecum per insegnanti "Alunni adottati in classe" ed essermi iscritta al vostro gruppo on-line per leggere le vostre comunicazioni, ho seguito con interesse l'evoluzione del vostro lavoro insieme al dibattito interno.
Purtroppo non ho mai potuto partecipare attivamente a causa di molteplici impegni. Tuttavia ho sempre ritenuto di fondamentale importanza una riflessione ed un approccio conseguentemente adeguato intorno alle problematiche da voi trattate, anche in riferimento al fatto che "storicamente" la scuola dove insegno: Maria Mazzini di Castelletto ha sempre annoverato tra i suoi alunni molti bambini provenienti da un percorso di adozione.
Oggi, però, le scrivo non in merito ad una esperienza scolastica vissuta o praticata, ma a partire dal mio vissuto che in questi ultimi tempi mi ha fatto ancora maggiormente considerare quale sofferenza interiore i nostri piccoli o grandi alunni abbiano dovuto affrontare nel loro recente passato e quanto noi possiamo e dobbiamo aiutarli nel percorso di costruzione della propria identità senza commettere troppi sbagli!

...io sono nata in Italia da padre italiano e da madre francese, ho avuto la fortuna di aver vissuto una infanzia bellissima insieme ai miei genitori nella città di San Remo e di aver avuto l' opportunità di conoscere e parlare da subito due lingue, due culture poichè spesso trascorrevo le mie vacanze in Francia.
Nell'età dell'adolescenza ho accarezzato l'idea di stabilirmi in F, ma in seguito ad amicizie e occasioni ho scelto di rimanere in Italia e di studiare Teologia e Filosofia (e non Lingue e Lett. Straniere come avrebbero preferito i miei genitori).
Dopo il mio matrimonio mi sono trasferita a Genova dove non ho faticato ad inserirmi anche perchè qs città mi ricordava molto Marsiglia, la mia seconda città.
Nati i miei figli non ho "sentito" la necessità di parlare loro in francese poichè pur essendo madrelingua la ritenevo una forzatura che ci avrebbe condotti ad un cerimoniale sterile senza significato (ricordavo di aver letto di certe comunità germanofone in America Latina che hanno protratto questo uso per alcune generazioni senza molti esiti).
Quest'anno sono stata toccata da molti lutti familiari tra i quali la perdita di mia madre prima e di suo fratello, mio zio, poi. Era rimasto ormai per me l' unico parente in Francia.
Da quel momento ho cominciato a sentirmi  molto male a livello psicologico poichè ho visto ormai spezzati tutti i miei legami là.
In particolare, l'idea di non poter più sentire quella lingua parlata dalle voci dei miei cari (é evidente che mi rimane sempre la possibilità di ascoltare una trasmissione o una canzone...eppure...) mi ha procurato un sentimento di assenza, di vuoto, forse di abbandono, profondo come una voragine e perciò mi sento molto fragile.
E' una cesura che si é creata, che in qualche modo andrà ricucita, ma che al momento mi provoca una grande sofferenza che non so bene descrivere neanche io.
L'unico pensiero che mi ha confortata è stato il ricordo di quanto avevo scritto nel mio compito di italiano alla maturità (1983) in cui avevo sviluppato il concetto di cittadinanza fino a sentirsi "cittadini del mondo".

Nelle classi ormai da molti anni mi sono spesso rapportata con alunni adottati.
Le famiglie adottive, come ebbi l'occasione di dire ad un incontro in cui fui invitata anni fa, mi hanno sempre colpito per il fatto di costituire per le altre famiglie, cosìddette naturali, un paradigma per l'accettazione delle personalità dei nostri figli che a torto possiamo considerare come propri in senso deleterio.
Nelle relazioni tra famiglie adottive e non ho colto la possibilità di un circolo virtuoso di comunicazione tra affetti forti e un richiamo alla salvaguardia di una libertà profonda che dovrebbe essere il punto di partenza educativo per "ogni" bambino.
Tornando alla mia esperienza ecco questi non brevi pensieri per confermarvi, qualora ce ne fosse stato il bisogno, che l'attenzione che state ponendo su questo "focus" è davvero importante e che noi insegnanti, genitori, educatori e amici non dobbiamo fare altro che ascoltare, rispettare profondamente l'altro ed accompagnarci con discrezione nei nostri percorsi di uomini e donne nomadi che siamo.
Sarà lei, dott.ssa Botta, a decidere se qs mio racconto può essere di contributo alle riflessioni del vostro bellissimo gruppo, in tal caso la autorizzo a far circolare qs mia lettera.
Ringraziandola per il suo lavoro e l'attenzione prestatami, le mando i miei più cordiali saluti insieme all'invito di andare avanti nel vs progetto,

maria elisa riboldi