lunedì 3 novembre 2014

L’adozione come parte di una storia

L’adozione, la condizione di figlio adottivo, come è noto, non costituisce uno stato patologico, una sindrome genetica. I figli adottivi non sono malati, ma hanno conosciuto un dolore speciale. 
Il solo fatto di essere stato adottato non è motivo sufficiente per dover affrontare una psicoanalisi. 
L’essere stato adottato è una condizione particolare, un dato fondamentale, costitutivo della identità di una persona; così come l’essere rimasto orfano della madre al momento del parto, essere nato da una madre rimasta vedova poco prima o poco dopo la nascita del bambino, essere figlio di una coppia che, proprio in coincidenza e a motivo della sua nascita si separa in un clima burrascoso; essere l’unico sopravvissuto di un parto plurigemellare…
Ciascuna di queste vicende umane, e di infinite altre, è parte importante della storia particolare del bambino e della sua famiglia, e, insieme, anche ragione di una esperienza intima emotiva-affettiva-fantasmatica ineffabile. 
Mai le parole, da sole, riescono a rendere chiara e piena la profondità dei sentimenti più grandi. 
Nella esperienza umana, nelle fantasie che suscita, l’adozione, nel cosiddetto inconscio collettivo, è percepita spesso come una stranezza, qualcosa di inquietante, perfino di infamante da bisbigliare all’orecchio o da scagliare come un insulto (bastardo!); fonte di romanzi famigliari, circondata, specie in passato, da un alone di sospetto e di mistero sacrale, come nelle tragedie greche e nei miti ebraici. 
Se funziona, invece, è l’unica cura conosciuta dalla specie umana, e non solo, che sia efficace per alleviare e rendere tollerabile la perdita dei genitori, specie della madre e l’esperienza traumatica dell’abbandono quasi sempre vissuto come un essere scartati, buttati via, rifiutati, e di ignorare, forse per sempre, chi ti ha portato in grembo, ti ha messo al mondo, ti ha dato la vita, chi ti ha abbandonato e, soprattutto, perché. Quand’è che si può dire che l’adozione ha ‘funzionato’? 
Quando ha consolato e alleviato sofferenze, medicato ferite, ridato il gusto di vivere e il sentimento finalmente sicuro di essere stato cercato, amato, prediletto, raccolto là dove eri stato lasciato cadere; la consapevolezza di essere stato addirittura, ‘scelto’ come figlio desiderato e insostituibile; quando gesti e parole hanno toccato alla radice del dolore e lo hanno reso tollerabile, comprensibile.


Di Augusto Bonato (giudice onorario c/o TM di Milano) tratto da "Quaderni di Psicoterapia Infantile" (ed. Borla)