venerdì 22 gennaio 2016

Confessione

Postata così com'è senza commenti:

"Grazie all'anonimato posso permettermi di raccontare una pezzo della mia vita di cui un po' mi rammarico, ma che è definitivamente superato. Mi scuso anticipatamente per la crudezza delle situazioni che racconterò, ma questo è stato, dipingerlo a tinte rosa non ne cambierebbe la sostanza e raccontare la storia senza ipocrisie è anch'essa una forma di espiazione che pago volentieri.  
Più di 15 anni fa partorii una bambina e me ne disinteressai completamente. Venivo da un lungo periodo di tossicodipendenza che continuò anche successivamente "all'incidente di percorso" di rimanere incinta e farla nascere. Il padre probabilmente era il pusher che ogni tanto accettava il pagamento in "natura", ma avevo anche frequenti rapporti occasionali probabilmente non protetti, quindi non c'è certezza e comunque quel pusher è morto accoltellato da tempo. La lucidità mentale non era una caratteristica che accompagnava la mia vita in quel periodo e la memoria ne risente. Avevo accolto la notizia di essere incinta con una sorta di disinteresse fatalista. Pensavo morisse prima di nascere dato che non mi negavo nessun comportamento dannoso sia per me che per chi avevo in pancia. Coca, ero, acidi, pasticche, alcol, ecc. mi calavo qualsiasi cosa mi facesse star bene. Mia madre mi ronzava attorno interessata alla nascitura, impedendomi di abortire o di esagerare, ma io avevo le mie buone strategie per fregarla come ho sempre fatto. 
Quando nacque non me ne accorsi, ero in overdose e l'ambulanza mi raccolse per strada in un angolo dove mi ero bucata e svenuta. In ospedale non firmai per rimanere anonima e quella che voleva essere sua nonna probabilmente ebbe un certo peso nelle scelte di quel momento anche perché poi cercò di appropriarsene. Non so o non ricordo bene come si svolsero i fatti, io finii a disntossicarmi, inutilmente (almeno quella volta e le due successive). Mia madre tentò più volte anche con un avvocato di opporsi alla perdita della nipote, ma quando chiesero il mio parere dissi che non la meritava. Sarebbe stata meglio lontano da noi. I giudici mi diedero ragione, la nostra bella famiglia, pur non mancandole nulla, non aveva dignità; meglio perderci. Da mia madre seppi in seguito che la bambina finì in adozione dopo tre o quattro anni di avvocati e di sentenze sempre contro di noi. Cioè contro mia madre perché io non volli mai partecipare a quel teatrino organizzato da una madre che probabilmente avrebbe voluto una seconda possibilità di crescere qualcuno senza gli errori che aveva commesso con me. Secondo me li avrebbe ripetuti o ne avrebbe inventati di peggio, inutile e testarda com'era. Tra l'altro tabacco e bottiglia se la sono portata via già da un po'.  
Però, non vorrei che qualcuno pensasse che mi sono pentita delle mie scelte di allora. No non c'è nessun pentimento, a cosa servirebbe, ormai è andata, mi sono rovinata, ma mi sono anche divertita un sacco. Sono stata male, ma ho anche goduto e vissuto cose che molti altri non hanno mai provato e non proveranno mai. Non ho rimorsi, né rimpianti, né nostalgia anche ora che non sono più una tossica, che ho un lavoro, una casa, qualche hobby e passo il tempo a curare i malanni che mi sono procurata vivendo una decina d'anni o più in maniera autodistruttiva.
Qualcuno si chiederà se abbia il desiderio di sapere come stia quella bambina sopravvissuta ai veleni che le ho somministrato, che ho ignorato quando è nata e quando per un po' di mesi ha aspettato in istituto un mio segno di interesse. No desiderio no! Curiosità sì forse un po' di curiosità, e chi non ne avrebbe? Mi piacerebbe sapere qualche notizia, se è sana o se porta anche lei i segni di (quasi) nove mesi delle merde che circolavano nel mio sangue. Che sia sopravvissuta fino a tre, quattro anni l'ho dedotto dal lungo e inutile incaponirsi di mia madre e dal balletto giudiziario dei ricorsi e appelli da lei perpetrato, della sua salute non so niente.
Confesso che durante l'ultima disintossicazione ho pensato intensamente a quella bambina e ho sperato (se fossi stata credente probabilmente avrei pregato) che non sia rimasta minorata o segnata dalle sostanze che sniffavo, mi iniettavo o ingurgitavo; che non sia sieropositiva come lo sono io (non vi dirò a quali malattie per non annoiarvi).
Ma la mia curiosità è destinata a rimanere tale. Mi auguro che non venga a cercarmi, che non mi trovi, che stia bene nella sua famiglia attuale. Se mi cercherà io mi negherò. La mia vita è tutt'ora disordinata. Non a caso non mi lego mai a nessuno per più di brevi periodi. E non potrei sopportare di dover rispondere delle scelte di allora verso chiunque. Non voglio nemmeno raccontarle inutili scuse, chiedere perdono, invocare false attenuanti. Dal nostro incontro ne uscirebbe delusa, arrabbiata, depressa, colpita. E potrei uscirne male anch'io. Non vorrei farci del male una seconda volta. Non la voglio incontrare, e se proprio vuole costruirsi una figura immaginaria è meglio che sia di fantasia perché quella reale sarebbe molto peggio."




lunedì 11 gennaio 2016

Ancora la ricerca

Dopo aver letto dei commenti di chi insiste sulla assoluta necessità di organizzare l'incontro tra genitori d'origine e figli adottivi (o comunque abbandonati anche se rimasti in istituto) (www.italiaadozioni.it/?p=7592), vorremmo citare una risposta che forse può apparire cinica e brutale, ma che ben descrive oggettivamente la situazione:  

"... in quanto a pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni (e anche favolette) la società è colma di storie lacrimevoli di mamme d’origine a cui hanno strappato ingiustamente i figli, di donne costrette da immani circostanze ad abbandonarli contro la propria volontà, di mamme “povere di spirito” a cui hanno sottratto il bambino con l’inganno, e così via. 
Storie del tipo: “Per salvare il figlio lo affidò alle acque del grande fiume adagiato con amore in una cesta galleggiante…” 
Meno conosciute e tramandate sono le numerose storie di violenza e abuso certo e reiterato verso un essere indifeso (anche solo l’abbandono è abominevole, figuriamoci la violenza), oppure le sordide storie di donne che hanno rifiutato la maternità come se fosse slegata dalla sorte della vera vittima, che non ha potuto scegliere, non ha potuto opporsi alla decisione di una donna che gli ha causato danno biologico, morale ed esistenziale ma che per un’anomalia di pensiero non è perseguibile, perché l’ha fatto nascere (anche se per farlo soffrire). 
Pensare male delle mamme è indelicato, ma ci sono mamme che non amano il bambino che hanno in pancia, ma la società non concepisce questa possibilità come reale. Anzi, si vuole il perdono automatico, la redenzione, il ricongiungimento, dopo vent’anni o più quando il figlio (che non è più loro figlio) è ormai grande e autonomo e semmai potrebbe diventare un valido aiuto verso la propria vecchiaia. Ci sembra molto comodo sfruttare i problemi esistenziali altrui per poter curare i propri rimorsi tardivi per averlo abbandonato “mollandolo” a una sorte sconosciuta (non a una vita sicuramente migliore, come nella favole, ma a un destino ignoto senza mamma).  
Fermiamoci in quell’istante. In quel preciso momento non c’è ancora l’adozione che cura l’abbandono, non c’è la possibilità o la probabilità o la speranza di una vita migliore… c’è un rifiuto e la prospettiva di un’esistenza in salita, senza certezze, a questo viene affidato il figlio che si abbandona. 
Molti figli abbandonati soffrono per tutta la vita questo rifiuto d’origine e per colpa di una società pronta a perdonare chi ha deciso e causato la separazione cercano in loro stessi il difetto, la causa dell’accaduto. 
Quando poi cercano di riannodare i fili della propria vita sono costretti a cercarli proprio in quella persona che ha causato il loro dolore. Almeno non dipingiamo di rosa quest’evenienza. Almeno non costruiamoci attorno simbologie e significati atti a cancellare le reali responsabilità. Non consideriamoli passi sufficienti a colmare il vuoto dovuto al rimpianto di chi ha abbandonato. 
La ricerca delle origini deve rimanere una libera facoltà solo per quei figli adottivi che hanno la necessità di percorrerla e la normativa non deve ostacolarla nel pieno rispetto delle parti e con le cautele necessarie."

Citiamo anche un altro post molto più soft che risulterà gradito a chi ama ancora le favole e le soap...

"L’amore, in generale, è un sentimento che viene dalle viscere. Non è solo “spirito”, nel senso di pura astrazione. Non è solo la mente ma è tutto il nostro corpo ad amare, a spingerci a desiderare profondamente, visceralmente, il bene delle persone che amiamo. Se l’amore fosse solo una questione di DNA allora ameremmo solo i nostri parenti, invece non è così. Si ama, infatti, anche il marito, la moglie, il fidanzato, l’amico; e li si ama in modo non meno viscerale rispetto a chi ha nelle vene il nostro stesso sangue. Ecco Perché le mamme adottive avvertono sin nella propria carne il legame con i loro figli. L’amore non ha DNA..." (Patrizia)

Cfr: La ricerca delle radici

 

martedì 5 gennaio 2016

Adozione ed eterologa a confronto?


Perché?

"Perché tutte le considerazioni poco lusinghiere (se non negative) del mondo delle adozioni nei confronti della procreazione assistita eterologa?"

I motivi sono molti e oggettivamente indipendenti dalle convinzioni etico-morali della questione eterologa. Quindi innanzi tutto non riduciamo tutto a un confronto ideologico, ma cerchiamo di essere logici.

L'adozione è difficile
  • quella nazionale per il numero esiguo di bambini rispetto alle coppie che si rendono disponibili
  • quella internazionale per i costi che sono aumentati moltissimo (negli ultimi 10 anni quasi raddoppiati perché se in Italia c'è deflazione, nei paesi emergenti c'è inflazione (ad esempio)
L'adozione è lunga e complessa
  • Alla coppia è richiesto un lungo percorso di maturazione verso l'accoglienza di un figlio "diverso da sè" e considerando le risorse quasi nulle destinate all'adozione si lavora molto sulla coppia prima, perché, dopo, il post adozione pubblico è inesistente e le difficoltà con minori sempre più grandi e/o difficili è lasciata alle risorse dei genitori.
  • I tempi di attesa non sono solo lunghi ma soprattutto incerti, le assenza dal lavoro in tempi di crisi e l'esborso di denaro in tempi di crisi sono ostacoli non trascurabili.
  • Si deve considerare anche la necessità di ritagliare altri tempi e risorse indefinibili, successivamente all'adozione per curare l'inserimento in famiglia, l'abitudine al nuovo contesto sociale ed eventuali "problemi" di adattamento del figlio.
Aspetti successivi

Tralasciamo i problemi dell'accettazione del bambino diverso da sè, del racconto al figlio della sua storia, del diritto a conoscere le proprie origini, della ricerca delle stesse origini, questi sono tutti miti che sono mandati a memoria da genitori e figli adottivi, tutti gli altri sono rimasti al segreto (in usanza nel secolo scorso) e al concetto semplice e lineare che la vera mamma è quella che l'ha partorito. Questo è un monolite inamovibile che pesa tantissimo sulle decisioni dell'opinione pubblica, delle istituzioni (in perenne ricerca di consenso) e dei media (in perenne ricerca di audience) in merito all'adozione e anche alla procreazione. Nulla sono valsi e serviranno discorsi sull'efficacia del modello di famiglia adottiva, come non servirà la conoscenza dei numerosissimi esempi di genitorialità biologica inefficiente, inefficace o dannosa. La maggior parte delle persone si meraviglia se il figlio adottivo prima o poi non cerca la mamma d'origine. Poco vale l'informazione che questa ricerca è fortemente circoscritta a una minoranza di adottivi.


Disarmante
Alla luce anche solo di questi pochi punti, risulta chiaro che risulti disarmante vedere come sia (virtualmente) facile cercare un figlio affidandosi alla procreazione assistita eterologa che è gratis o costa estremamente meno, che non richiede preparazione, maturazione, idoneità, che garantisce un figlio neonato e quindi senza i problemi tipici dei figli adottivi non più piccoli (6 anni di media).
Altrettanto disarmante risulta come lo stato possa trovare le risorse per la procreazione assistita eterologa e negare servizi post-adozione all'altezza per aiutare le famiglie adottive (e non stiamo parlando dell'eresia di avere l'adozione gratis, cosa a quanto pare utopistica e impossibile).
È disarmante la constatazione di quanto i servizi sociali e i tribunali per i minorenni siano ossessivamente attenti, pignoli, indagatori verso la preparazione delle coppie adottive e come invece il sistema sia condiscendente verso chi adotta i gameti e si fa un figlio in pancia.

Ripensare al sistema famiglia (adottiva)

La nostra considerazione è che sarebbe necessario un ripensamento complessivo verso le risorse da destinare alla famiglia (nello specifico quella adottiva, ma non solo) e che lo svantaggio maggiore sarà dei bambini abbandonati a cui saranno preferiti uno o due gameti congelati.

lunedì 4 gennaio 2016

La lagna e i miglioramenti

 La lagna 
(Sinonimi: gemito, geremiade, piagnisteo, lamentazione, frignamento, querimonia, piagnucolio, singhiozzo, singulto, lamento, nenia, pianto, solfa, tiritera, menata, brontolio, mugugno, lagnanza, lamentela)

La lagna viene sempre facile, per ogni cosa che si incontra, soprattutto se la controparte è un ufficio pubblico. Nel sistema adozione, ad esempio ci si può lamentare dei tempi di risposta delle cancellerie dei tribunali per i minorenni, dei tempi di attesa prima dei colloqui con i servizi sociali, dell'atteggiamento sospettoso delle assistenti sociali (è un'indagine o no?), dei tempi per l'indagine e per la stesura della "famosa" relazione che il giudice dovrebbe leggere subito, del tempo che passa tra l'invio della relazione e l'incontro con il giudice stesso, dei tempi di attesa del decreto di idoneità e di notifica... Poi ci sono gli enti autorizzati (che non sono pubblici, ma che possono essere equiparati, visto che agiscono in sussidiarietà), le loro liste d'attesa, la richiesta di altri incontri, le documentazioni richieste, le apostille o le autenticazioni, e i soldi che chiedono: per gli incontri, la formazione, le traduzioni.... Sembra di dover scalare una montagna alta e ripida, quasi inaccessibile. Non c'è da illudersi, la salita c'è e a volte sembra molto ripida, ma negli ultimi 20 anni è stata scalata da migliaia di coppie normali (non dei Reinhold Messner) che passo dopo passo, con pazienza e convinzione sono arrivate ad adottare dei figli. Qualcuno l'ha raggiunto dopo un anno e mezzo, altri dopo quatto anni. Tra questi ci sono degli "eroi" che hanno adottato bambini con problemi importanti, altri ne hanno adottati quattro in una volta, la maggior parte più semplicemente ne hanno accolto uno senza grossi problemi, né grande né piccolo. Tutti si sono resi conto che le vere difficoltà cominciano dopo, ma anche che passo dopo passo, per la maggioranza di loro sono ostacoli non insormontabili; ci vuole attenzione, convinzione e preparazione e tempo.

Migliorabile?

Come e in cosa si potrebbe migliorare l'iter adottivo? probabilmente si potrebbe migliorare un po' in tutto: ad esempio nella preparazione del personale dei servizi sociali, nel miglioramento dell'uniformità di giudizio e di procedura dei diversi tribunali per i minorenni. Si potrebbe pensare a dei contributi per coprire le spese di adozione internazionale, almeno per le coppie più bisognose, o almeno a dei prestiti d'onore rateizzando i rimborsi (detraibili dall'irpef), mentre la gratuità generalizzata è un'idea utopistica. Si potrebbe pensare a un maggior coinvolgimento del ministero degli esteri a supporto della CAI e degli enti autorizzati presso le istituzioni straniere.Si potrebbe definire dal punto di vista normativo oltre all'adozione anche l'affido internazionale. Si potrebbero delegare alcune funzioni della CAI come il permesso di rientro con il minore adottato, alle ambasciate in loco (si tratta di controllare la documentazione fornita dall'ente autorizzato)... Senza pensare a rivoluzioni globali (che rischierebbero di disfare quello che c'è di buono nella nostra prassi adottiva che rimane un modello per numerosi paesi occidentali), si potrebbero operare numerosi piccoli interventi migliorativi pragmatici e a costi affrontabili anche con i vari patti di stabilità. Il tema più complesso poi riguarderebbe il post-adozione dopo il primo anno successivo al rientro. Infatti, non solo il servizio pubblico scompare quasi completamente, ma non è nemmeno in grado di sapere cosa succede. Le ricerche e le statistiche sono poche, parziali, lacunose e datate e quelle che esistono sono fatte da enti o soggetti che non possono accedere ai dati in modo statisticamente corretto (la scelta del campione infatti dovrebbe essere fatta in modo del tutto casuale attingendo dall'intera popolazione interessata e non, ad esempio, su base volontaria), I tribunali (ognuno per sé) fanno spesso delle indagini su alcuni aspetti della vita degli adottivi negli anni successivi all'adozione; le regioni hanno dei riscontri dalle ASL perché amministrativamente gli interventi degli operatori devono essere monitorati, ma manca l'indagine unitaria e mirata. Senza un'analisi aggiornata e continuativa ci sembra molto difficile pensare ad interventi migliorativi nel post-adozione.