giovedì 24 marzo 2016

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Adopted is the new black...

Adopted is the new black (anche quando gli adottati non sono neri o con tratti somatici esotici)?

Il bullismo pensa di sì. Alle medie e nelle prime classi delle superiori, in mancanza di altri candidati, capita che, conosciuta l'origine adottiva di un ragazzino, viene isolato o sottoposto a violenze anche solo verbali, insulti, vessazioni, scherzi, ecc..., dal gruppo capitanato dal solito bullo. 
Per chi non lo sapesse la differenza tra un sano scherzo in compagnia e il bullismo è dato dalla frequenza, dall'insistenza, dalla pesantezza, dalla scelta delle vittime tra categorie presunte deboli o diverse. 
Nello specifico è ancora più probabile che la vittima sia una ragazza adottata e che il clan che la perseguita sia composto prevalentemente da ragazze come nei peggiori film della serie "american idiots". La scuola e i professori in questi casi non mostrano la reattività che esprimono quando la vittima è facente parte di categorie protette (disabili, affetti da dsa o altro) perché pensano che sia un fenomeno trascurabile. 
La dirigenza cerca sempre di minimizzare perché è conscia che la famiglia potrebbe ricorrere alle vie legali verso la famiglia del bullo e verso la scuola che non riesce a controllare il fenomeno. La miglior soluzione spesso è di cambiare scuola, liberarsi così di minacce, insulti, persecuzioni ed altro. . In questi casi la scuola oppone una blanda resistenza (affermando che fuggire è una sconfitta, che nella nuova scuola potrebbe ripetersi, facendo intendere che la vittima è in parte corresponsabile di ciò che le accade - certo è adottata!), ma i genitori che hanno avuto il coraggio di cambiare hanno ottenuto di ritrovare nel figlio/a la tranquillità, la passione dello studio, un rendimento migliore, ecc. 
Quindi non abbiate paura di andarvene - è inutile lottare inutilmente per soffrire e ottenere solo delle svogliate scuse solo formali da parte delle famiglie dei volonterosi carnefici del bullo che non viene punito perché "proviene da situazioni di disagio e quindi è da comprendere (per fortuna non da giustificare)". 
Rimanendo si fa solo un favore alla scuola che potrà affermare di "avere risolto il fenomeno del bullismo con la mediazione e un intervento puntuale, bla bla..." quando invece ha solo spostato lo sporco sotto il tappeto.
L'aspetto disarmante è che bisogni ed esigenze di figli dei separati, dei divorziati, degli orfani di un genitore, dei figli di un disabile, ecc. sono percepiti dagli operatori scolastici come primari rispetto a quelli di un figlio adottivo. Il figlio adottivo è felice, ha entrambi i genitori sani e preparati e quindi non ha subito traumi!

mercoledì 16 marzo 2016

Garanzia di successo?

Quale garanzia avrà quel bambino di sentirsi figlio...

Quando si pensa alle procedure che precedono l'adozione, si pensa soprattutto al fastidio di dover essere giudicati dai servizi sociali, di dover giustificare la disposizione delle stanze della casa, di dover raccontare le aspirazioni, i desideri, le paure, le disillusioni, il lutto da elaborare; ma cos'è questo lutto? Se siamo solo un po' delusi? Non è sufficiente? Avremmo dovuto prima precipitare nell'abisso della disperazione, per poi risalire verso una nuova speranza? Provare una nostra personale passione e resurrezione?
Aspettare settimane che i servizi abbiano tempo e personale per incontrarci più volte, per alcuni è scomodo, per altri è noioso o semplicemente tempo buttato. Perdere giornate lavorative per raccontarsi e parlare di temi scomodi con il timore di dire qualcosa che possa indisporre gli astanti, con la paura di sembrare troppo o troppo poco coinvolti emotivamente o troppo razionali, o aver timore di non sembrare equilibrati all'interno della coppia come se il desiderio di adottare fosse progetto di uno solo assecondato passivamente dall'altro è sicuramente fonte di stress. 
Sembra incredibile, ma ci sono casi di coppie che sono scoppiate durante il periodo di valutazione pre-adozione... ma forse queste non erano idonee a rimanere unite.
Per la maggior parte di noi, persone comuni di qualsiasi censo o educazione sedersi davanti a una coppia di assistente sociale e psicologa o davanti a un giudice, non è cosa di tutti i giorni. Cosa ne sappiamo di bambini? E soprattutto cosa ne sappiamo di bambini adottivi? Mostrare sicurezza è positivo? Oppure ostentarla produrrà un effetto negativo? Il figlio immaginato avrà tratti troppo delineati o troppo vaghi? Ci si sentirà già "incinti"?  Troppo o troppo poco? Per non parlare dei tratti somatici, del colore della pelle, della provenienza, del rischio giuridico, del rischio sanitario, e così via: troppo disponibili, quindi poco credibili o troppo poco disponibili e quindi troppo rigidi ed esclusivi? 
E poi, le domande imbarazzanti che ci sta ponendo l'assistente sociale (di solito fa la parte del poliziotto cattivo, quello buono è la psicologa, ma non sempre) sono domande disinteressate o sono provocazioni? Dobbiamo rispondere col sorriso anche su temi difficili oppure sembriamo troppo frivoli e dobbiamo rimanere seri rischiando di sembrare infastiditi dall'invadenza nella nostra vita privata? 
E, infine, la relazione finale che ci stanno leggendo corrisponde veramente a noi oppure abbiamo l'impressione che sia stato omesso qualcosa o che ci siano delle approssimazioni? Nel caso sarebbe meglio correggerla, perdendo altro tempo e forse peggiorando la nostra presentazione, oppure lasciamo qualche piccola inesattezza? 
Dovremo incontrare un giudice che dopo aver letto la relazione si illuderà o farà finta di conoscerci, ci porrà domande le cui risposte sono già nella relazione o da quella sono deducibili, ci chiederà di fratrie, età, problemi di salute, ecc. e passerà altro tempo.
Trascorreremo altri mesi, anni in attesa del decreto, di documenti amministrativi, disponibilità degli enti o dei tribunali a considerarci, in attesa di scalare gli elenchi nei tribunali o negli organi costituiti del paese straniero scelto.

Sin dall'inizio, in questo tempo di attesa pensiamo a un bambino che ci aspetta in un istituto vicino o lontano che sia non ci è dato di saperlo, non ne conosciamo l'età, le fattezze, il colore di pelle, occhi e capelli, non ne conosciamo il carattere, né lo stato di salute. Sappiamo solo che sarà nostro figlio, prima o poi. Quando si deposita la disponibilità all'adozione, o ancor prima, quando si matura l'idea comune (di entrambi) di cercare un figlio nell'adozione, la domanda naturale è se ci si riuscirà, quali garanzie avremo di successo? Ma la maggior parte di noi pensa che il successo sia tornare a casa con un figlio e un documento anagrafico che lo dichiara tale. 

Sbagliato! 

La domanda dovrebbe essere, da subito, quale garanzia di successo avrà quel bambino di sentirsi figlio, di sentirsi parte di una strana cosa chiamata "famiglia adottiva" composta da persone eterogenee (geneticamente distanti) tenuta insieme da una colla di affetti forti ed elastici?

Noi adulti pensiamo che sia difficile diventare genitori adottivi, e un po' effettivamente lo è, non è certo semplice come "unirsi e moltiplicarsi", ma dovremmo cercare di comprendere come sia più difficile diventare figlio adottivo, quasi sempre già un po' grande, quasi sempre con brutte esperienze precedenti (anche il solo abbandono è sufficiente, è un rifiuto), spesso spostato dal luogo d'origine, strappato rapidamente dalle abitudini, dal mondo in cui si trovava e affidato a sconosciuti anche molto diversi dagli adulti conosciuti fin lì. 

A Torino si è fatta una ricerca statistica sulle cause dell'insuccesso delle adozioni. Il tribunale di Torino nel periodo preso in esame era noto per essere restio a distribuire facili decreti di idoneità. I decreti erano ottenuti comunque da numerose coppie che presentavano ricorso. Nella ricerca si è evidenziato che tra le coppie che avevano ottenuto l'idoneità dopo ricorso, l'incidenza di criticità, fallimenti e restituzioni è risultata significativamente maggiore rispetto alle altre coppie. 
Anche per questo, eliminare il decreto di idoneità è impensabile. L'idea di rivedere il processo di valutazione della coppia dovrà tener presente lo scopo finale del processo adottivo che non è fornire figli a chi li desidera, ma far diventare figlio un bambino abbandonato. 



domenica 6 marzo 2016

Empatia?

L'empatia, in parole povere, è la dote di "mettersi nei panni" di qualcun altro.

Proviamo allora a essere empatici nei confronti di una coppia di omosessuali che convive da tempo o ha intenzione di farlo.. Risulta palese che ciò che ad altri sembra una pretesa senza fondamento, per loro è una speranza e un diritto: potersi definire legalmente nucleo familiare, prima ancora di accedere all'eredità, alla pensione di reversibilità, alla successione nei contratti d'affitto, nell'accesso alle notizie mediche, ecc.
Il passo successivo all'essere coppia è altrettanto ovvio, poter fondare una famiglia avendo dei figli, Passo relativamente semplice per una coppia di omosessuali femmine, ma piuttosto complesso per una coppia di omosessuali maschi che dovrebbero rivolgersi a una maternità surrogata con tutti i dubbi etici (e l'impegno economico esorbitante) che ciò comporta per gli stessi aspiranti genitori.

Proviamo ora ad essere empatici verso un adolescente che conviva con due uomini adulti (o due donne) che si considerano una coppia, come vi sentireste (da adolescenti che mettono in discussione le figure "genitoriali")?

La scelta dell'adolescente (maschio o femmina declinano in modo differente il periodo ma hanno tratti comuni) è esemplificativa. Non siamo più in presenza della schiera di bambini piccoli e felici di essere speciali perché hanno due mamme o due papà (fatti vedere impudicamente e spudoratamente dalla tv iena), siamo presenti alle crisi identitaria dovuta a un periodo dello sviluppo dei ragazzi; un periodo che in situazioni di stabilità già può essere devastante per tutta la famiglia. 
Sono gli anni in cui i figli devono smontare le figure dei genitori-eroi della loro infanzia, "tirarli giù" dal piedestallo. Mettere in discussione tutte le convinzioni condivise all'interno del nucleo familiare, tanto più quando le convinzioni si riflettono profondamente sulla vita della famiglia e quindi risultano fortemente radicate nelle idee e nei comportamenti dei genitori (l'omogenitorialità non si persegue se non si è profondamente convinti della sua validità e attuabilità).
In caso di omogenitorialità (forse anche aggravata da origini incerte come l'utero in affitto) le cartucce in mano all'adolescente diventano mine anti-uomo (anzi anti-omo). 
Di chi sono figlio? 
Con le somiglianze, se i gameti sono di almeno uno dei genitori, l'adolescente riuscirà a capirlo anche davanti all'incertezza o all'omertà di chi ha costruito artificialmente questa "famiglia" monocromatica (o omocromatica, altro che arcobaleno).
Una volta individuato il genitore biologico, l'altro chi è? 
Un estraneo (estranea) che fa sesso con lui?! 
Anni di convivenza e di esperienze comuni possono infrangersi come una bella vetrata colorata (arcobaleno?) davanti all'adolescente che scopre di non poter essere omologato ai coetanei, che penserà di essere stato ingannato dal destino che gli ha negato qualcosa (anche se non sa cosa).
E l'adolescente, dopo questo processo distruttivo di demolizione radicale o parziale della famiglia riuscirà a ritornare? (cosa che spesso avviene nelle famiglie tradizionali, quelle monocrome noiose pantofolaie e omologate famiglie con padre, madre e figli). O in lui sarà scattato qualcosa di irreversibile?  Es, io e super-Io, la coscienza del sé, l'autostima, l'identità e tutte le varie invenzioni degli psicologi che le usano a uso e consumo delle proprie convinzioni, il malessere esistenziale, il sospetto di essere stato preso in giro (dal destino, dalla divinità in cui crede o semplicemente dagli adulti), dove lo condurrà?

Ognuno può, mediante l'empatia, cercare di immaginarlo tenendo ben presente che l'orientamento sessuale e ideologico o religioso di questo ragazzo potrà essere molto diverso, anche antitetico a quello dei genitori.