giovedì 27 marzo 2014

Limiti, confronti e sospetti



Essere giudicati per quello che si fa nella vita privata non è facile da accettare, mettersi a disposizione, farsi analizzare e rimettersi al giudizio di estranei per come si vive, anzi per come si intende la vita nella propria sfera privata, essere vagliati per come si organizza la propria esistenza può essere frustrante, può generare timori e nevrosi.

Se poi il giudizio non riguarda lo stile di vita in corso, ma quello che potrebbe essere nel caso ci affidassero un figlio, tutto diventa ancora più vago e insondabile, non ci sono punti di riferimento, non lo sappiamo nemmeno noi come ci comporteremo quando avremo un figlio, figuriamoci altri!

L'unica nostra speranza è che le persone che dovranno analizzarci e giudicarci siano all'altezza del compito, non abbiano pregiudizi, simpatie o antipatie (o almeno sappiano riporle), siano preparate e capaci. Noi possiamo sperare di immaginarci equilibrati, responsabili, coscienti dei nostri limiti, determinati a sostenerci e a concludere positivamente l'adozione, forti della ricchezza di risorse umane e mentali personali e di coppia che esprimiamo durante ogni incontro con chi ci ascolta.

Come comportarsi?

Essere troppo accondiscendenti non va bene... ci rappresenta troppo passivi; reagire alle provocazioni è negativo... meglio essere fermi e pacati, con le idee chiare; attenti a bilanciare bene: idee, concetti espressi e risposte tra i due componenti della coppia altrimenti sembra che la personalità di uno sia dominante sull'altra e che il desiderio adottivo non sia pienamente condiviso; è importante stare attenti alle parole che si usano.

Bisogna dimostrare l'avvenuta elaborazione del lutto della mancata generazione o il desiderio vero e sincero di accogliere un bambino 'estraneo'; raccontare bene la propria storia familiare prima e dopo il matrimonio, non dimenticando i momenti significativamente formativi; chiarirsi molto bene le idee in coppia prima di parlare con servizi sociali e giudici, parlarne tanto, diffusamente, apertamente, senza tacere le proprie paure al coniuge; cercare di essere empatici con chi ci ascolta. Parlando, ribadire i concetti, esprimersi rimanendo rilassati, osservare attentamente le reazioni di chi ci ascolta e chiarire i punti che possano rimanere oscuri, rettificare cercando di spiegarsi meglio nel caso ci si accorga di aver detto qualcosa che sia 'fuori luogo', la reticenza non è buon segno e l'estrema sintesi è spesso ritenuta reticenza; usare parole di compromesso, avverbi che mitigano i concetti (abbastanza, quasi, forse, ecc.).

Nessuno si aspetta dei laureati in adozione e quindi è lecito usare termini dubitativi come 'forse', 'può essere'; meglio usare termini positivi che negativi; non negare precedenti sentimenti antitetici agli attuali rispetto ai temi affrontati, ma sottolineare la differenza e il cambiamento; aneddoti e propri comportamenti significativi (senza esagerare). Sono preferibili rispetto alla pura teoria. In sintesi, se siamo veramente convinti di adottare, dobbiamo cercare di essere sinceri e soprattutto dobbiamo ben rappresentarci per come siamo, senza lasciare ombre di dubbio.

Poi capitano le delusioni, non a tutti, ma a tanti. Può capitare che gli operatori ci consiglino di lasciar perdere, insistano per sospendere l'indagine per "darci tempo per riflettere" o persino ci sconsiglino di continuare... altrimenti la relazione sarà negativa. E' la prima delusione, ma anche chi arriva alla relazione può ricevere una sentenza di inidoneità all'adozione internazionale del Tribunale per i Minorenni (per chi ne ha fatto domanda). Non è frequentissimo ma presso alcuni Tribunali accade più spesso che in altri. Diversi casi che di norma si risolvono presentando ricorso. Ma quando leggiamo "non idoneo" sentiamo un senso di fallimento, un timbro emotivo che dice "non sei all'altezza".

Ma come? Abbiamo letto la relazione assieme agli operatori dei servizi sociali, eravamo fiduciosi e contenti perché ci avevano descritto così bene, con parole che noi non avremmo potuto esprimere meglio, e poi cos'è successo? Qualcosa ci è sfuggito, forse mancava qualcosa? E soprattutto perché alle coppie che conosciamo è arrivata subito l'idoneità, cosa hanno raccontato di loro per 'sembrare' più bravi e sottolineo 'sembrare' perché più bravi non lo sono, ne siamo sicuri, anzi se dovessimo scegliere dei genitori non li vorremmo mai e poi mai...

L'altra delusione, anche se più diluita nel tempo, è non riuscire ad adottare con l'adozione nazionale (per chi ne ha fatto domanda). Vengono chiamate altre coppie e veniamo chiamati anche noi, la prima volta, in sala d'aspetto incrociamo fugacemente altre coppie, ci guardiamo e per la prima volta ci rendiamo conto che è una specie di competizione, chi sarà il migliore o chi saprà descriversi come migliore, avrà il premio: un figlio. Solo chi risulterà il più adatto, "la migliore famiglia per quel minore" come recitano le regole, già ma come viene deciso? chi lo decide? in base a quali caratteristiche? e per conoscere una coppia è sufficiente l'ora di "chiaccherata" che stiamo facendo con queste persone, oppure sarà importante la relazione dei servizi sociali (quella che non ci ha portato all'idoneità) o sarà quello che c'è scritto in tutti quei fogli di cui è composta la nostra pratica aperta sul tavolo e di cui non sappiamo nulla?

Dopo la prima ci chiamano altre volte e ci prospettano casi disperati o non ci parlano di bambini specifici, ma noi ormai sappiamo che se ci chiamano è perché stanno cercando dei genitori per qualche bambino. Alcune altre coppie ricevono in adozione dei bambini neonati (non riconosciuti alla nascita) e la coppia meno giovane, una bambina di quasi cinque anni con una storia difficile che farà vivere loro un'avventura molto intensa, combattuta e, alla fine, felice. Noi niente! Intanto procediamo con l'adozione internazionale. Riusciremo comunque a diventare una famiglia.

A questo punto la tentazione è forte: in cosa sono migliori di noi quelli che hanno avuto i bambini piccoli dall'adozione nazionale? L'invidia e un senso di ingiustizia si fanno strada e sono emozioni vere, forti e presenti anche se riusciamo a controllarle, sono manifestazioni del desiderio di diventare genitori che è presente in tutti noi e direi che sono sentimenti naturali, fisiologici. Ma non è solo invidia, è anche frustrazione perché questa è un'altra delusione, è come una nuova bocciatura: gli altri sono meglio di voi... 'non siete così bravi'.

Il passo successivo non è frequentissimo ma succede: alcuni di noi tramutano delusione e gelosia in sospetto; hanno scelto 'quelli' perché il cugino usciere del tribunale e amico dello zio del giudice, oppure perché lui è pediatra, oppure perché lei è avvocato, assistente sociale, ecc... Ne "Il barbiere di siviglia" di Rossini si recita 'La calunnia è un venticello..." e un noto ex presidente del consiglio soleva ripetere che "a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". Così ci si sfoga. Ognuno può avere delle proprie opinioni a riguardo, ma non avrebbe senso vietare a pediatri, avvocati, assistenti sociali e cugini di uscieri di fare domanda di adozione, penso anche che le persone che abbinano i bambini ai genitori non siano così miopi da trattarli come permessi di parcheggio o licenze commerciali (ammesso e non concesso che ci sia corruzione nel loro rilascio).

Dovremmo anche riconoscere che ci sono professioni che portano a trattare certi argomenti con maggiore spigliatezza, realismo, esperienza. Come possiamo chiedere a un pediatra, a un assistente sociale o a una psicologa di non citare le proprie esperienze nei colloqui per l'adozione. Per un operaio, un contabile, un bancario, tutti senza figli è oggettivamente più difficile parlare di bambini e delle loro problematiche, non possiamo pensare che partano 'alla pari'. Ciò non toglie che anche persone appartenenti a categorie 'meno nobili' (non si offenda nessuno) giungano all'adozione nazionale avendo grandi doti umane e spiccate risorse personali.

Quindi risultano molto tristi le frasi che ogni tanto si leggono o si sentono dire da qualche deluso; frasi che gocciolano sospetti spesso molto generici sulle adozioni nazionali. Penso che nessuno possa escludere che qualche singolo caso di scarsa limpidezza si possa verificare, ma non si possono trattare con sospetto le tante famiglie che ogni anno accolgono bambini in adozione nazionale e che hanno diritto a vivere una vita lontana da ogni maldicenza.

martedì 25 marzo 2014

La dura realtà della vita quotidiana



Dopo i lunghi tempi di attesa finalmente i genitori esausti e felici tornano a casa con i figli nati lontano, hanno trascurato il proprio lavoro, hanno chiesto permessi, ferie, hanno prosciugato i loro risparmi, hanno diritto a una manciata di mesi di maternità, ma i tempi sono difficili e ci sono luoghi di lavoro dove non ci si può permettere di stare troppo lontani.

Allora? 

Loro (i figli) lo chiedono, dopo tante forzate novità e cambiamenti, vogliono avere qualche certezza di continuità, andare a scuola. La scuola che ricordano loro, dove non c'è competizione, dove si impara oralmente ripetendo ciò che l'insegnante dice ad alta voce, dove si è in tanti con pochi mezzi.

E vengono catapultati in un luogo infernale dove la lingua è diversa, dove i valori sono ribaltati, dove si sentono degli estranei, dove l'insegnante non ha il tempo e a volte nemmeno la voglia di dedicarsi al loro vero inserimento, conta il rendimento, il programma, la prova invalsi, conta la competizione (negata sempre, ma continuamente rilanciata da insegnanti e genitori narcisisti), dove l'adozione è spesso confusa con l'essere straniero, dove l'adottato è sinonimo di causa persa, merita giusto lo sforzo per portarlo alla sufficienza, magari con una spintarella regalata, non può essere portatore di valori superiori.

Considerato un "bambino fortunato", è stato strappato alla povertà, all'abbandono, ecc. con dei genitori che hanno molte risorse da spendere e che quindi sapranno compendiare abilmente alle carenze della scuola. "...per questo se i genitori aspettassero a mandarlo a scuola ancora un po' sarebbe meglio!"

Ma i genitori sono in difficoltà, lottano con la quotidianità, non hanno le giornate e la possibilità di inventare una vita piena di avvenimenti per i loro nuovi figli, stanno imparando a essere genitori e lo stanno imparando di corsa e con uno o più figli che non sono neonati... altro che pannolini e latte in polvere! 

E sono quasi soli in questa sfida.

Come finirà?

martedì 11 marzo 2014

Ripetere la "LETTERA DI UN'ADOZIONE"? - sondaggio...



“Lettera di un’adozione” è un progetto che ha avuto grande successo (tante lettere, spettacolo teatrale gradito e tanto pubblico alla premiazione). Si potrebbero convincere ItaliaAdozioni e il “Festival delle lettere” a rinnovare l’iniziativa. Cosa ne pensate?
SI – vorrei tanto condividere le mie emozioni e le mie esperienze con tutti gli altri.
SI – anche se non ho intenzione di scrivere ma solo di leggere le lettere di altri.
NO – non mi è piaciuta l’iniziativa.
NO – anche se l’iniziativa mi è piaciuta non la ritengo ripetibile.