venerdì 29 maggio 2015

Bambini straordinari 2 (Le tre fasi)


I cambiamenti (di famiglia, di scuola, di grado, di insegnanti) provocano dei comportamenti che seguono quasi sempre un evolversi in tre tappe: una fase di osservazione, una fase seduttiva, una fase provocatoria.
  • La fase di osservazione serve al bambino per scoprire qual è la richiesta nei suoi confronti, è necessari per poter entrare in relazione, in questa fase il bambino è remissivo, ubbidiente e non prende iniziative.
  • Nella fase seduttiva e di manipolazione il bambino utilizza le informazioni raccolte nella prima fase per compiacere l'adulto, in questo modo riduce al minimo il rischio di non essere accettato e quindi di un nuovo abbandono. Durante questa fase non sempre riesce ad autocontrollarsi e quindi possono verificarsi delle crisi di pianto, di rabbia o incubi notturni.
  • La fase successiva deriva dall'essersi costruito delle sicurezze e delle certezze di accettazione. è ormai sicuro di non dover subire un nuovo abbandono e quindi mette alla prova le sue sicurezze con provocazioni di vario genere per osservare le reazioni dell'adulto e cercare il limite che può raggiungere. Ricorda la fase dei 'no' dei 2/3 anni. è ovviamente la fase più faticosa per genitori, educatori e insegnanti.
  • C'è un'ulteriore fase che si verifica durante la pubertà e l'adolescenza (scuole medie) dove c'è una maggiore maturazione e comprensione del vissuto e dove affiorano in modo importante necessità di ricerca delle origini e del proprio passato.
Anche l'età dei 6/7 anni è una fase cruciale per i bambini che sono stati adottati da piccoli perché si matura un nuovo modo di concepire la famiglia, non più solo come insieme di persone che vivono insieme, ma anche come unione di persone con legami di sangue. Questa nuova consapevolezza che evidenzia una caratteristica mancante nel rapporto con i genitori può indurre delle manifestazioni problematiche. 6/7 anni è anche il periodo in cui si inizia a comprendere meglio l'idea della morte e quindi a meglio concepire concetti profondi come la perdita e si riesce a focalizzare meglio anche l'idea di abbandono.

I fattori in gioco.

Studi sempre più accurati hanno evidenziato le caratteristiche dei bambini adottati in relazione al grado di inserimento nel nuovo contesto (famiglia, scuola, società).
  • Un primo fattore importante è stato identificato nell'età di inserimento nella nuova famiglia: più grande è l'età all'atto dell'adozione più risulta difficile l'adattamento.
  • Un secondo fattore più importante risulta essere il tipo e la qualità delle esperienze di vita precedenti all'adozione.
  • Un terzo fattore ancora più importante è la qualità e l'intensità del legame affettivo instaurato con la nuova famiglia. Maggiore è la possibilità di rielaborare, di confrontarsi, ecc. migliore è l'adattamento alla vita.

giovedì 28 maggio 2015

Bambini straordinari 1 (Regressioni)

Piccoli o grandi, bianchi o colorati, con storie più o meno difficili alle spalle, con vissuti diversi, i bambini adottati hanno tutti un tratto in comune: sono bambini straordinari, capaci di rifiorire, di recuperare la falsa partenza che hanno subito. Hanno certo bisogno di aiuto, hanno sicuramente delle difficoltà in più, ma nella maggior parte dei casi riescono a recuperare, anche grazie a genitori adottivi che li hanno fortemente desiderati e voluti.



Ci possono essere regressioni anche dopo il primo anno di presenza nella nuova famiglia. Il trauma dell'abbandono ha interrotto un filo logico che la regressione aiuta a recuperare in parte. La regressione ripara e ricostruisce un rapporto con il proprio vissuto; è come una seconda nascita dopo l'adozione.
Ci sono diverse età in un bambino adottato: un'età anagrafica, un'età affettiva e un'età dell'esperienza.
  • L'età anagrafica, nel caso frequente di adozione internazionale in paesi con un tessuto sociale e una burocrazia imperfetta è spesso presunta e difficilmente coincide con quella vera, generalmente viene segnalata un'età inferiore a quella reale, a volte le differenze sono di più di un anno.
  • L'età affettiva è inferiore a quella anagrafica poiché l'abbandono ha interrotto la continuità dei bisogni emotivi ed affettivi che sono 'rimasti indietro' rispetto alla crescita fisica.
  • L'età dell'esperienza al contrario è spesso maggiore di quella che viene attribuita ai bambini in una società ricca e garantista come la nostra che li mantiene protetti. Le esperienze vissute dell'abbandono, la vita di strada o di istituto dove spesso vige la legge del più forte ha accelerato alcuni aspetti della maturazione personale, generando squilibri da recuperare.
Quando si incontra un bambino adottato che ha comportamenti particolari si deve sempre considerare che non è solo un normale modo per attirare l'attenzione, ma spesso siamo di fronte a comportamenti dovuti a regressione. Quindi anche in età scolare è necessario un contatto fisico simile a quello che si mantiene con bambini più piccoli. A volte è sufficiente anche una mano sulla spalla, una carezza sulla testa, semplici gesti che instaurano empatia e risultano consolatori o solidali.
A scuola è necessario non considerarlo come un normale bambino straniero, quest'ultimo vive in un contesto familiare ben collaudato, ha una storia ben definita ed è ben integrato in una cultura e in una comunità.

venerdì 15 maggio 2015

Un abbandono è per sempre

Un abbandono è per sempre. Non ammette rimpianti. 

Non si tratta dell'abbandono di un'amicizia, di un partner, di una cosa o di un animale domestico (atto quest'ultimo, punito severamente dalla legge). Stiamo parlando di bambini, generalmente piccoli e quindi indifesi e incapaci non solo di badare a se stessi, ma soprattutto esposti per il resto della vita, al danno della convinzione di non essere stati sufficientemente amati.

"Quando sono nato è accaduto: mia madre ha partorito e non mi ha riconosciuto, così sono finito in istituto, figlio di un rifiuto, allevato come un detenuto, seduto, muto." (da: "Anoniman" di Frankie hi-nrg mc - incluso nel cd "DePrimoMaggio")

Nonostante la gravità dell'atto sia indiscutibile, ovunque le istituzioni sono pazienti e attendono che chi abbandona possa ripensarci, chiedono conferma, offrono aiuti per poter recedere da una scelta sicuramente dolorosa per la madre (e soprattutto per il figlio che la subisce). Le case famiglia e gli affidi esistono per questo per sopperire alle incapacità dei genitori per brevi periodi di tempo (poi, spesso diventano più lunghi, indefiniti e infine definitivi cioè fino a maggior età e oltre).

Se il figlio viene dichiarato adottabile significa che si è constatata l'impossibilità di reinserimento nella famiglia d'origine (succede anche nei casi di incuria o trascuratezza grave, violenza, ecc.). O che i genitori hanno reiterato, convinti, la volontà di abbandonare. A questo punto e non prima si può affermare che l'abbandono è per sempre. Non è reversibile.

La successiva adozione sarà legittimante. Significa che la famiglia che accoglierà il bambino sarà la sua unica famiglia. Significa non solo che sarà figlio dei nuovi genitori, ma anche nipote dei nuovi nonni e dei nuovi zii, fratello dei nuovi fratelli, cugino dei nuovi cugini e così via. Mentre per ascendenti e discendenti dei genitori d'origine pur continuando ad avere affinità genetiche sarà un estraneo.

Quando si sente parlare di veri genitori (alludendo a quelli originari) non ci si sta riferendo a un dato di fatto, non solo perché questo non sussiste, ma si sta esprimendo un giudizio negativo sull'istituto dell'adozione e si sta palesemente discriminando chi può definirsi legittimamente genitore, nonno, zio, fratello, cugino... e che dopo un po' di convivenza lo è anche in senso emotivo, affettivo, educativo, organizzativo, ecc.

Premesso ciò, se un figlio che sia stato abbandonato (adottato o meno) voglia cercare le proprie origini è giusto e legittimo come è altrettanto giusto che possa farlo senza pressioni psicologiche di nessuno, senza sentirsi snaturato se non ha desiderio di farlo, senza che questo venga considerato ovvio, inevitabile o indispensabile. Questa è una ricerca facoltativa che deve essere agevolata per chi ne ha desiderio, ma che non deve essere considerata indispensabile da chicchessia. Infatti la maggior parte dei figli adottati che ha avuto una nuova vita piena di cure e attenzioni non sente la necessità della ricerca; ha già una famiglia, una vita, un futuro.

La ricerca delle origini è quindi comprensibile e da facilitare quando ve ne sia il desiderio, ma la ricerca della discendenza no. Non deve essere ammissibile, non c'è nessuna giustificazione che ammetta la ricerca da parte di chi è stato l'attore principale dell'abbandono. Rimorso, nostalgia, desiderio di completezza, voglia di discendenza rimangano delusi. L'abbandono è per sempre per chi lo ha perpetrato.

Inoltre l'arrivo inatteso nella vita di chiunque di uno sconosciuto che dichiari di essere il genitore, il nonno o un altro parente, potrebbe essere più facilmente sconvolgente, drammatico e dannoso piuttosto che costruttivo ed edificante. Sarebbe anche difficile riuscire a comprendere, in merito all'abbandono, quali narrazioni siano veramente vere e quali siano invenzioni per giustificare un atto di cui ormai ci si vergogna.