martedì 22 dicembre 2015

Genero ergo sum

Viaggio semi-serio nei nuovi sistemi per diventare genitori.

Capitolo 1. 
L'omologanza e l'eterologanza

Ho recentemente conosciuto una coppia che ha un figlio di dodici anni. Scambiandoci opinioni ed esperienze ho saputo che il figlio è frutto di una procreazione assistita eterologa effettuata in Spagna. Più di dodici anni fa? Nel 2002? A quell'epoca probabilmente molti come me alla domanda cos'è l'eterologa avrebbero pensato a qualche regola astrusa della scienza della parola o a una parte del discorso rara e peculiare (da logos) e invece era già una pratica di quella che si chiamava ancora inseminazione artificiale (e il bambino veniva chiamato "figlio in provetta"). Poi, come ogni cosa che deve essere venduta e che quindi incontra degli uffici di marketing, la denominazione ha perso l'attributo "artificiale" ed è diventata "assistita", più eleganza, più appeal, più vendibile. La prima volta che ho sentito questo nuovo termine, per un attimo ho temuto che si riferisse a uno specialista "guardone" che assistesse all'atto di fecondazione da parte di una coppia... incitando, veicolando, suggerendo... Anche la parola "inseminazione" è stata mutata in "procreazione" e il motivo è chiaro, l'inseminazione è l'atto tecnico che viene compiuto dall'equipe medica e che non garantisce nessun figlio (le vere percentuali di successo in genere sono top secret e sospettiamo piuttosto basse), quindi meglio spostare l'accento sul risultato finale cioè la "procreazione", inducendo implicitamente a credere che ad ogni inseminazione corrisponda una procreazione. Realistico per il marketing delle cliniche del settore, irreale nell'esperienza e nella pratica di chi segue questa strada e che spesso reitera più volte i tentativi fino al raggiungimento del figlio o al prosciugamento dei risparmi e/o delle energie. Abbiamo conosciuto alcune coppie che hanno tentato 8, 10, 12 e perfino 18 volte!

Intermezzo. 
L'esperienza personale di Andrea e Andrea.

No, tranquilli, non è una coppia di omosessuali (perché avrebbero dovuto usare altre pratiche (madre surrogata che vedremo poi), lui Andrea (come si usa in Italia, maschio), lei Andrea (come si usa in Germania, femmina), non più giovanissimi, che raccontano: 

"In Italia dodici anni fa l'eterologa non era diffusa, poi la normativa l'ha resa illegale e recentemente è tornata possibile. Diciassette anni fa noi eravamo tra quelli che tentavano la via omologa (un paio di volte, una manciata di milioni di lire a botta perché nelle strutture pubbliche il nostro turno sarebbe coinciso con l'età della pensione). La prima volta con emozione e trepidazione, credendo sinceramente che fosse l'unica strada da percorrere, disposti a tutto. Esami ed analisi per lui, esami ed analisi per lei, poi iniezioni in pancia per lei (le fa lui) così si producono più ovuli e poi il giorno fatidico in un ambulatorio situato in un seminterrato, un posto freddo, squallido con i letti delle aspiranti mamme in batteria (sottolineo che era una struttura privata) come le mucche (che per l'appunto vengono inseminate artificialmente così). Gli aspiranti padri che si aggiravano nei corridoi con in mano dei piccoli barattolini cercando gli sgabuzzini (tali erano) per farsi l'autoprelievo in solitario. Le cellule si erano poi moltiplicate per un po' e poi erano state rigettate abbastanza presto come se l'ambiente naturale avesse mal sopportato l'intrusione artificiale. Pare che sia l'evenienza più frequente, inseminazione riuscita, gravidanza interrotta, procreazione non raggiunta. La seconda volta, con meno entusiasmo, meno speranza e un certo senso di fatalismo, mentre partecipavamo al teatrino nel solito seminterrato, ci siamo resi conto che la speculazione sul desiderio delle coppie di diventare genitori prevaleva troppo su tutto il resto. L'esito negativo era quasi scontato, ma prima ancora di averne la certezza avevamo già optato per l'adozione (di cui allora ignoravamo tutto)."

Capitolo 2. 
La surroganza

Dunque, come spiegarla a chi non ne sa nulla? Tu prendi un ovulo dalla mamma, uno spermatozoo dal babbo, li unisci insieme con tecniche di chirurgia microscopica e poi impianti (si dice così - si appoggia, si incolla...) l'ovulo fecondato nell'utero di un'altra donna, che non è la mamma, ma partorirà suo figlio. La cosa si complica se al posto dell'ovulo della mamma si usa l'ovulo di un'altra donna che non è la mamma ma assomiglierà al figlio, che sarà fecondato con uno spermatozoo del papà e che verrà comunque partorito da una terza donna che non è la mamma ma lo partorirà. La cosa si complica ancora di più se si usa l'ovulo di una donna che non è la mamma, si utilizza anche il seme di un donatore che non sia il papà, così si giungerà ad avere come figlio naturale un bambino che è più assimilabile ad un figlio adottato che però a differenza di quest'ultimo è piccolo, sano, garantito e certificato da una delle numerose multinazionali che si occupano di queste pratiche e sarà un figlio che probabilmente costerà molto, non assomiglierà a nessuno dei due genitori (o clienti?) e (cosa trascurabile per chi lo avrà cercato) sarà illegale in Italia. Recentemente questa pratica è stata deprecata anche dall'unione europea, ma incredibilmente non per dare più garanzie ai figli, ma a causa del pericolo di sfruttamento delle mamme surrogate! (un ragionamento adultocentricamente perfetto.

martedì 6 ottobre 2015

La ricerca delle radici

Assistiamo alla pubblicazione di articoli e di libri, alla nascita di siti e blog, all'organizzazione di corsi, incontri e convegni che studiano, dissertano, discutono e infine promuovono la ricerca delle origini da parte degli adottati... descritta spesso come un'aspetto imprescindibile, indispensabile, e assolutamente necessario nella vita di una persona adottata.

Ma non dovrebbe essere un desiderio personale, un intimo bisogno del singolo adottato? Dobbiamo farlo diventare un fenomeno di massa? Vogliamo organizzare la marcia della ricerca delle origini?

"Ricordati che hai degli altri genitori!". L'insistenza nel proporre i genitori d'origine, la loro ricerca, la necessità del ritorno al passato per risolvere i malesseri del presente, la promozione di un bisogno che molti figli adottivi non percepiscono come una necessità (ne è prova l'effettiva incidenza percentuale del fenomeno all'interno della totalità degli adulti adottati) può essere dannoso per le famiglie adottive? Ed è lecito chiederselo?

Proviamo a rispondere a questi dubbi: innanzi tutto è lecito poiché entro certi limiti il destino delle famiglie adottive e della percezione che la società ha di loro dipende molto da piccoli segnali che possono essere ingigantiti dalla cassa di risonanza dei media. Così in un mondo che è sostanzialmente ignorante in merito a cosa sia l'adozione, l'adottare e l'essere adottati, ogni titolo, ogni trafiletto, ogni accenno giornalistico sull'adozione può focalizzare l'attenzione pubblica in modo significativo o fuorviante a seconda del contenuto.

Noi adottivi (genitori e figli) sappiamo bene che l'eventuale ricerca delle origini (che non sempre riguarda la ricerca dei genitori biologici, ma che può essere la semplice ricerca di luoghi, culture, linguaggi, odori, sapori... in una parola: delle radici) non è la negazione della valenza della famiglia adottiva, non è il segnale del fallimento dell'adozione, anzi ne è una testimonianza di efficacia e quindi la sua affermazione. In un senso incomprensibile, però, per tutti quelli che l'adozione non l'hanno toccata con mano, non l'hanno vissuta in prima persona.

Le persone comuni, hanno osservato la famiglia adottiva come se fosse un animale esotico, incomprensibilmente felice e unita (più o meno secondo i casi della vita, ma mediamente meglio della media delle famiglie tradizionali), con quel misterioso legame che non deriva dalla somiglianza, dal sangue o (più modernamente) dalla genetica, Dopo questa lunga e curiosa osservazione, finalmente possono esclamare: "vedi, lo dicevo io, a un certo punto devono cercare la vera mamma! lo sapevo che non poteva durare! lo sapevo che era tutto posticcio Provvisorio. Finto!". Sentite eccheggiare i soliti luoghi comuni di genitori veri e finti? Vi ricorda la frequente e antipatica allocuzione di "vera mamma" attribuita a sproposito a chi ha abbandonato i figli?

Ma cos'è? Ignoranza, invidia (e di cosa poi?), gusto di mettere il naso negli affari degli altri? Soddisfazione di essere meglio? Cosa li spinge a considerarci inferiori? E ne sono consapevoli?

Ignoranza innanzi tutto. Componente che non manca mai, sempre presente e spesso accompagnata da una buona dose di errata convinzione di avere capito tutto, di saperne abbastanza per giudicare, di avere ben compreso la chiave della situazione dopo aver letto quelle due paginette sulla dozzinale rivista che parla di programmi televisivi o di gossip.

Invidia, molto frequente dove si annida l'ignoranza. Come è possibile avere la forza di diventare genitori di un alieno, un figlio diverso da noi e assorbirlo nella famiglia fino a percepirlo omogeneo, sentimentalmente consanguineo, somigliante? Come è possibile percepire che è un'esperienza esaltante che non potranno mai provare. Come è possibile capire l'alchimia di diventare figli, sentirsi accolti non per caso, non come il risultato di una magica ricombinazione di gameti, ma di essere stati accettati e avere accettato e accolto nella propria vita i nuovi genitori, guarendo la ferita originaria di essere stati scartati, rifiutati una prima volta. Come è possibile capire che è altrettanto speciale? Non lo comprendono e, forse senza averne coscienza, sono invidiosi di tutto questo.

La curiosaggine, ovvero la curiosità finalizzata alla ricerca della magagna, del difetto, dell'aspetto negativo. Altro sport nazionale (e forse internazionale) e provinciale al tempo stesso. Siccome non si comprende fino in fondo il profondo legame genitori-figli adottivi, se ne ricercano i punti deboli, si è attenti a non lasciarsi sfuggire il minimo sintomo di incrinatura. Famiglie tradizionali, biologicamente e geneticamente omogenee crollano miseramente e si disgregano ma non importa, lì c'è il legame di sangue quindi probabilmente era inevitabile. Se una famiglia adottiva ha dei problemi non c'è dubbio: è a causa dell'adozione!

Per questo, per il bene dell'adozione e delle famiglie adottive si dovrebbe sempre sottolineare e ribadire ciò che noi sappiamo bene: la ricerca delle origini non sminuisce minimamente il ruolo dei genitori adottivi, non mette in dubbio la validità dell'adozione e non cancella il legame affettivo che i figli adottivi sentono (ricambiati) nei confronti dei genitori adottivi, risultati indispensabili e insostituibili. Senza di loro, la vita dell'adottato sarebbe risultata molto diversa (e probabilmente peggiore). 

Se qualche adottato adulto sente questo bisogno della ricerca delle origini, (bisogno imprescindibile per risolvere dei problemi personali non necessariamente derivati dall'essere stati abbandonati), è libero di cercare e di convincersi che quella delle origini è una ricerca senza la quale non si è completi, meno lodevole è la missione di convincere anche gli altri che non ne hanno necessità (come se volessero compagnia in queste loro scelte).

Ma occorre ribadire e far comprendere "agli altri" che questo desiderio, o bisogno, è profondamente personale. Un adottato può anche non percepirlo senza provare timore di essere insensibile. Ci sembra più che comprensibile che un adottato che vive una vita piena e completa, soddisfacente e ricca di rapporti umani e affettivi non senta la necessità di andare a scavare in un lontano passato, che non voglia scoprire persone e vicende quasi sempre deludenti, squallide o peggio, che rivolga la sua attenzione verso il presente e il futuro.

Oppure vogliamo continuare a credere sempre e comunque alla fatina dei denti e alle madri che hanno abbandonato i figli per amore verso di loro e non per altri motivi meno nobili. La forza biblica della storia di Mosé incombe sulla nostra cultura e pesa come un macigno. 


martedì 16 giugno 2015

Lettera appello di una "madre segreta"

Pubblichiamo senza commento una lettera testimoniale relativa alla segretezza del parto. Il punto di vista de "la-madre-che-ha-abbandonato-il-figlio-alla-nascita-e-che-non-vuole-essere-rintracciata". Come spesso accade quando il parlamento si pronuncia su simili questioni, il pericolo maggiore è la superficialità delle soluzioni prospettate...

”Quando ho letto la notizia credo che il mio mondo si sia dissolto in un attimo, ho guardato i miei familiari, ignari, e ho visto la fine della vita che con fatica mi sono costruita e guadagnata. Non vi voglio raccontare il mio passato doloroso, so però che non sarei in grado di riviverlo (...). 
Non posso rivivere tutto di nuovo, non ho la forza di raccontare tutto alla mia famiglia attuale, non lo posso immaginare, mi sento morire e nell’attesa di questa condanna, io mi sento morire piano piano. 
Che Dio mi perdoni se a volte vorrei farla finita, anche se poi non so se ne avrei il coraggio. La mia vita ormai dipende dal legislatore, vi prego non smettete di lottare per il parto anonimo, per questo non vi ho mai ringraziato abbastanza, quelle come me non possono palesarsi, non possono parlare ai dibattiti, devono solo aspettare! (...) 
Ho cominciato a vivere nel terrore che un giorno arrivi a casa una raccomandata che mi obblighi a presentarmi in tribunale (come una malvivente), ho il timore di dover ripercorrere quella esperienza terribile (…). 
Io ho la certezza che non riuscirò a sopportare tutto questo (…). 
Uno Stato non può tradire in questo modo un patto stipulato che mi ha portato a fare questa scelta, anche se imposta, che mi ha permesso di non abortire. Sono disperata all’idea di poter fare soffrire i miei cari. Spero anche che la creatura che ho messo al mondo e per la quale prego sempre (sono aiutata da un padre spirituale) sia serena, considerando le sue origini, quelle delle persone che lo hanno adottato, loro sono i veri genitori”.

lunedì 15 giugno 2015

Adozione e infertilità

Se non foste stati sterili mi avreste adottato ugualmente?

Quanti genitori adottivi potrebbero in sincerità e realisticamente rispondere affermativamente a questa domanda? L'opzione adozione anche in presenza di opzione procreativa è praticabile? Non sono gli stessi servizi sociali che molto spesso mettono in dubbio questa possibilità? Gli enti autorizzati o i tribunali che dissuadono dal perseguirla? 

Oltretutto: l'esiguità delle adozioni in Italia, la complessità delle adozioni all'estero (costi, tempi, figli sempre più compromessi), il fatalismo di accontentarsi di rimanere senza figli unitamente alla comodità di non istituzionalizzare le convivenze e la sempre maggiore facilità di accesso alla procreazione assistita invita, spinge in senso contrario; sempre meno coppie infertili si rivolgono all'adozione con la conseguente tendenza che ha portato il numero delle adozioni a dimezzarsi in meno di tre anni.

martedì 9 giugno 2015

Così diversi, così uguali.

Due figli, lei ormai adolescente, italiana, molto italiana, carnagione chiara, capelli e occhi castani, occhi tondi, sorriso sincero, facile all'entusiasmo o alla delusione, grande generosità d'animo, il fratellino, di quattro anni più giovane, puro khmer, pelle di infinite gradazioni tra il latte macchiato invernale e il caffè macchiato estivo, occhi leggermente a mandorla e nasino schiacciato, capelli neri, bocca a cuoricino che si schiude spessissimo in un sorriso irresistibile di denti bianchissimi.

Due figli così diversi tra loro e io che mi incanto a guardarli... mi riecheggiano domande lontane: come si fa ad amare un bambino così diverso da noi? come si può riuscire ad amare bambini così differenti? si riesce a non privilegiare l'uno o l'altra?

La risposta è sì, anche volendo sarebbe impossibile fare preferenze. La soluzione è stata semplice: hanno risolto loro tutti i dubbi, in pochissimo tempo sono diventati inseparabili, compagni, complici, si cercano, si seguono, si trovano, si difendono, si imitano... un vero spettacolo! Nati in circostanze così diverse a quattro anni di distanza e a 15 mila chilometri di distanza, eppure così assolutamente fratelli anche nei rari episodi di gelosia e di litigio.

Non ho provato cosa significa amare un figlio biologico, un figlio che ci assomigli così tanto da poterci specchiare in lui, un figlio che abbia le nostre caratteristiche genetiche, doti e difetti, ma so per certo che sarebbe impossibile provare per lui un amore più intenso di quello che provo per i miei due figli adottati, entrati così profondamente nella mia esistenza che mi sembra impossibile non aver vissuto insieme a loro sin dal primo minuto della loro vita.

La loro vita e la mia vita prima del nostro incontro esiste, lo sappiamo, ma per ora è in un cassettino, ci godiamo questa vita insieme, giorno per giorno, ora per ora. Quando vorranno chiedere, cercare, indagare sulla loro vita ante-incontro per lo stesso amore assoluto che provo adesso, io sarò lì per aiutarli e sostenerli.

domenica 7 giugno 2015

Bambini straordinari 4 (Passato, presente e futuro)


Il continuum di un bambino adottato deve essere assolutamente rispettato. Passato, presente e futuro si intrecciano nella sua mente, ma non sempre hanno la stessa importanza.
Non sempre il bambino adottato è contento di parlare della propria storia e delle proprie origini; a volte non vuole essere considerato un bambino 'speciale' ma vorrebbe essere come tutti gli altri. È possibile che in un certo momento abbia voglia di 'staccarsi' dal passato soprattutto se è stato adottato da piccolo.
Quando e se si vuole affrontare la storia personale si deve tener conto di questo aspetto. Ci sono bambini adottati da piccoli e altri che sono arrivati nella nuova famiglia in età scolare.
  • Nel primo caso, la sua storia coincide con quella della famiglia adottiva, ha solo una memoria corporea della sua precedente vita con la famiglia d'origine o con chi l'ha aiutato. La sua storia precedente è frutto di racconti riportati dai genitori adottivi.
  • Nel secondo caso la storia personale è ricca di episodi che la memoria mantiene viva, alcuni chiari e altri già confusi e che nel tempo sono destinati a offuscarsi. Nel momento del rifiuto della storia è negativo affrontare qualsiasi tema legato all'infanzia.
Il buon senso deve guidare l'insegnante più che il programma ministeriale. A volte, però, le precauzioni sono più negative del problema stesso, ovvero esonerare da certi compiti dati agli altri un bambino solo perché è adottivo può solo essere controproducente; molto meglio 'inventarsi' una visione più generale del compito in modo che anche un bambino adottivo possa interpretarlo non sentendosi spiazzato.
Ad esempio, invece di portare uno scatolone di oggetti della propria nascita per ricostruire ognuno una propria storia personale, ad esempio, si può portare ognuno un oggetto personale appartenente al passato e ricostruire un episodio della propria storia più o meno recente.
Evitare invece 'gaffes' come quella di un insegnante di scuola media che esonerò due bambini addottivi dal tema: 'Racconta un episodio di quando avevi tre anni'... Ovviamente anche i figli adottivi hanno avuto tre anni, ma soprattutto la domanda che sorge spontanea è quanti dodicenni si ricordano in prima persona di un episodio dei loro tre anni?

mercoledì 3 giugno 2015

Scegliere o non scegliere il bambino?

In Italia abbiamo un approccio all'adozione molto preciso: la normativa specifica che si deve trovare dei genitori a un bambino in stato di abbandono. Operatori, enti, legislatori, giudici sono tutti d'accordo i figli non si scelgono, ma questa verità, questa certezza granitica potrebbe ammettere qualche deroga come descrive l'intervento seguente da un convegno francese ..."Bambini e famiglie d’adozione”, un'associazione di genitori in Francia che raggruppa più di 8 000 persone, ha organizzato alcuni anni fa un Congresso sul tema dell'adozione e l'etica.

...Sia l'adozione nazionale che l'adozione internazionale pongono importanti problemi etici. La domanda per bambini piccoli, in buona salute è di gran lunga superiore rispetto alla domanda di bambini più grandi, con qualche problema o handicap. Siamo sicuri che questa domanda elevata non spinga a fare pressione a scapito delle madri meno “protette” per ottenere bambini più piccoli ed in salute? Questa domanda non comporta il rifiuto di bambini che hanno gran bisogno di essere soccorsi?
Sempre più paesi, ONG, organizzazioni non-governativi, e lo spirito della Convenzione del L’Aia spingono affinché i bambini piccoli ed in buona salute rimangano nei loro paesi e che lì siano adottati per assicurarne l'avvenire. Quando dei genitori pensano all'adozione, pensano che essa serve per creare una famiglia a misura di quella abituale, dunque pensano di adottare un bambino più piccolo possibile. Poi, quasi tutti i futuri genitori, desiderano accettare un bambino in buona salute; è un desiderio umano, logico.

Invece, i bambini che hanno maggiore bisogno di una famiglia sono i bambini più grandi, handicappati fisici o mentali o con malattie gravi. Come collegare queste due speranze? Non si può esigere dai genitori adottanti di prendere in carico dei bambini che hanno bisogno di cure specializzate a lungo termine. Non si può chiedere loro neanche di sostituirsi ai Servizi Sociali o ai centri di cura di lunga durata.

Si devono rispettare le loro capacità d’accoglienza. Infatti si sono avute restituzioni di bambini dopo l'adozione, quando non si era rispettato il desiderio dei genitori. Invece, si sono visti dei genitori ricevere o un bambino handicappato, malato cronico ed accettare la situazione come l'avrebbero accettata se avessero loro stessi messo al mondo questo bambino. Adottare, come mettere un bambino al mondo, comporta dei rischi; ogni futuro genitore dovrebbe accettare il rischio legato al fatto di poter ricevere un bambino malato o handicappato. Ma bisognerebbe valutare il rischio di rigetto dopo l'adozione. Questo rigetto è più grave per il bambino adottato che ha già subito l'abbandono. Individualmente dunque, i genitori adottanti possono e devono riflettere sulla loro capacità di accogliere un bambino. Non hanno tutti gli stessi limiti e per il benessere del bambino e della famiglia, è importante rispettare questi limiti.
Si dovrebbe approfittare invece, del tempo d’attesa di un'adozione per sensibilizzare i futuri genitori ai bisogni dei bambini più grandi, malati e handicappati. Alcuni potrebbero scoprire un arricchimento supplementare.

In California, i Servizi Sociali organizzano degli incontri tra futuri genitori e bambini in attesa d’adozione. Spesso avvengono dei colpi di fulmine che permettono alle persone di amarsi al di là di qualsiasi handicap. Parimenti, i Servizi Sociali dell’Ontario hanno deciso di porre delle foto di bambini con un breve riassunto su un sito internet per trovare delle famiglie ai bambini che resterebbero altrimenti nelle case famiglia o negli istituti fino alla maggiore età.

Questi due approcci permettono a molti più bambini di realizzare il loro sogno di avere una famiglia.
Individualmente, abbiamo il diritto di rifiutare una proposta che non corrisponde alle nostre capacità genitoriali. Ma collettivamente, abbiamo la responsabilità di fronte a tutti gli altri bambini dei paesi stranieri che non troveranno una famiglia.
Le numerose adozioni internazionali degli ultimi anni hanno avuto delle conseguenze insperate; parecchi orfanotrofi hanno migliorato notevolmente le condizioni di vita dei bambini e dei progetti formidabili come le "Grande-madri" in Cina hanno visto la luce. L'adozione internazionale ha provocato anche nei paesi d’origine una presa di coscienza del valore del bambino. Così il bambino occupa un posto importante nel discorso politico e le sue condizioni di vita sono migliorate parecchio ovunque.

L'adozione ha portato anche a livello internazionale una riflessione sull'importanza del posto del bambino nella società, sull'importanza di fornirgli le migliori probabilità di avere una vita sana ed equilibrata. L'adozione internazionale porta anche prima una solidarietà ed una fraternità tra popoli inimmaginabili.
Difatti, i popoli dei paesi dove sono generati i bambini sono diventati la famiglia allargata degli adottanti e tutti si sentono riguardati dagli eventi che lì si svolgono. E soprattutto, l'adozione ha permesso alle centinaia di bambini di avere un progetto di vita familiare. Questo non è un sistema perfetto e non risolve tutti i casi di bambini che desidererebbero una famiglia, ma di rimbalzo l'adozione internazionale ha permesso a centinaia di altri bambini di ricevere migliori cure avere migliori condizioni di vita.

Fonte: Claire-Marie Gagnon, Texte paru dans «La Cigogne», journal de la Fédération des parents adoptants du Québec, Printemps

Bambini straordinari 3 (Rendimento e concentrazione)


Comunque l'80% dei bambini adottati hanno una buona riuscita scolastica, un buon adattamento e una buona integrazione. Tenendo in considerazione un altro dato, cioè che complessivamente la media degli adottati ha un rendimento inferiore si può dedurre che il rimanente 20% mostra problemi molto marcati tali da abbassare la media. Questo confronto è stato effettuato rispetto al resto della popolazione scolastica, mentre se si confronta il rendimento degli adottati con il rendimento dei bambini che per vari motivi rimangono in comunità (istituto, casa famiglia, affido) risulta che gli adottati hanno risultati notevolmente migliori corroborando così la validità dell'istituto dell'adozione.
Una delle variabili del rendimento scolastico che è maggiormente interessata dall'essere stato adottato è sicuramente la capacità di concentrazione. Il calo precoce di quest'ultima induce una serie effetti come l'incapacità di giungere alla soluzione di problemi complessi che non abbiano soluzione immediata o come la difficoltà di memorizzazione. La capacità di concentrazione è la variabile cognitiva maggiormente soggetta a stress emotivo, quindi il buon clima affettivo (un clima empatico, ricco di emozioni trasparenti) agevola il suo sviluppo.
Quanta capacità di concentrazione abbia un bambino e la sua durata dipende da molteplici fattori, quello che influenza maggiormente un bambino adottivo dipende dal livello di attaccamento che ha sviluppato nel primo anno di vita, quando il bambino apprende la capacità di affidarsi, lo sviluppo della fiducia, negli altri e in sé. La fiducia acquisita lo sostiene nel mantenersi concentrato per raggiungere l'obiettivo prefissato, la carenza di fiducia di riuscire a terminare il lavoro lo fa desistere prima del tempo. Non sempre, poi, un buon rendimento a scuola è indice di autostima completa perché questa potrebbe essere totalmente veicolata verso l'obiettivo scolastico (per compiacere i grandi) e perdersi negli altri ambiti.
Per migliorare l'autostima di un bambino la ricetta base è affidargli compiti semplici e brevi, il raggiungimento di questi obiettivi comporta l'aumento graduale del grado di concentrazione e l'aumento della fiducia in se stesso con la possibilità conseguente dell'affidamento di altri compiti gradualmente più complessi.

venerdì 29 maggio 2015

Bambini straordinari 2 (Le tre fasi)


I cambiamenti (di famiglia, di scuola, di grado, di insegnanti) provocano dei comportamenti che seguono quasi sempre un evolversi in tre tappe: una fase di osservazione, una fase seduttiva, una fase provocatoria.
  • La fase di osservazione serve al bambino per scoprire qual è la richiesta nei suoi confronti, è necessari per poter entrare in relazione, in questa fase il bambino è remissivo, ubbidiente e non prende iniziative.
  • Nella fase seduttiva e di manipolazione il bambino utilizza le informazioni raccolte nella prima fase per compiacere l'adulto, in questo modo riduce al minimo il rischio di non essere accettato e quindi di un nuovo abbandono. Durante questa fase non sempre riesce ad autocontrollarsi e quindi possono verificarsi delle crisi di pianto, di rabbia o incubi notturni.
  • La fase successiva deriva dall'essersi costruito delle sicurezze e delle certezze di accettazione. è ormai sicuro di non dover subire un nuovo abbandono e quindi mette alla prova le sue sicurezze con provocazioni di vario genere per osservare le reazioni dell'adulto e cercare il limite che può raggiungere. Ricorda la fase dei 'no' dei 2/3 anni. è ovviamente la fase più faticosa per genitori, educatori e insegnanti.
  • C'è un'ulteriore fase che si verifica durante la pubertà e l'adolescenza (scuole medie) dove c'è una maggiore maturazione e comprensione del vissuto e dove affiorano in modo importante necessità di ricerca delle origini e del proprio passato.
Anche l'età dei 6/7 anni è una fase cruciale per i bambini che sono stati adottati da piccoli perché si matura un nuovo modo di concepire la famiglia, non più solo come insieme di persone che vivono insieme, ma anche come unione di persone con legami di sangue. Questa nuova consapevolezza che evidenzia una caratteristica mancante nel rapporto con i genitori può indurre delle manifestazioni problematiche. 6/7 anni è anche il periodo in cui si inizia a comprendere meglio l'idea della morte e quindi a meglio concepire concetti profondi come la perdita e si riesce a focalizzare meglio anche l'idea di abbandono.

I fattori in gioco.

Studi sempre più accurati hanno evidenziato le caratteristiche dei bambini adottati in relazione al grado di inserimento nel nuovo contesto (famiglia, scuola, società).
  • Un primo fattore importante è stato identificato nell'età di inserimento nella nuova famiglia: più grande è l'età all'atto dell'adozione più risulta difficile l'adattamento.
  • Un secondo fattore più importante risulta essere il tipo e la qualità delle esperienze di vita precedenti all'adozione.
  • Un terzo fattore ancora più importante è la qualità e l'intensità del legame affettivo instaurato con la nuova famiglia. Maggiore è la possibilità di rielaborare, di confrontarsi, ecc. migliore è l'adattamento alla vita.

giovedì 28 maggio 2015

Bambini straordinari 1 (Regressioni)

Piccoli o grandi, bianchi o colorati, con storie più o meno difficili alle spalle, con vissuti diversi, i bambini adottati hanno tutti un tratto in comune: sono bambini straordinari, capaci di rifiorire, di recuperare la falsa partenza che hanno subito. Hanno certo bisogno di aiuto, hanno sicuramente delle difficoltà in più, ma nella maggior parte dei casi riescono a recuperare, anche grazie a genitori adottivi che li hanno fortemente desiderati e voluti.



Ci possono essere regressioni anche dopo il primo anno di presenza nella nuova famiglia. Il trauma dell'abbandono ha interrotto un filo logico che la regressione aiuta a recuperare in parte. La regressione ripara e ricostruisce un rapporto con il proprio vissuto; è come una seconda nascita dopo l'adozione.
Ci sono diverse età in un bambino adottato: un'età anagrafica, un'età affettiva e un'età dell'esperienza.
  • L'età anagrafica, nel caso frequente di adozione internazionale in paesi con un tessuto sociale e una burocrazia imperfetta è spesso presunta e difficilmente coincide con quella vera, generalmente viene segnalata un'età inferiore a quella reale, a volte le differenze sono di più di un anno.
  • L'età affettiva è inferiore a quella anagrafica poiché l'abbandono ha interrotto la continuità dei bisogni emotivi ed affettivi che sono 'rimasti indietro' rispetto alla crescita fisica.
  • L'età dell'esperienza al contrario è spesso maggiore di quella che viene attribuita ai bambini in una società ricca e garantista come la nostra che li mantiene protetti. Le esperienze vissute dell'abbandono, la vita di strada o di istituto dove spesso vige la legge del più forte ha accelerato alcuni aspetti della maturazione personale, generando squilibri da recuperare.
Quando si incontra un bambino adottato che ha comportamenti particolari si deve sempre considerare che non è solo un normale modo per attirare l'attenzione, ma spesso siamo di fronte a comportamenti dovuti a regressione. Quindi anche in età scolare è necessario un contatto fisico simile a quello che si mantiene con bambini più piccoli. A volte è sufficiente anche una mano sulla spalla, una carezza sulla testa, semplici gesti che instaurano empatia e risultano consolatori o solidali.
A scuola è necessario non considerarlo come un normale bambino straniero, quest'ultimo vive in un contesto familiare ben collaudato, ha una storia ben definita ed è ben integrato in una cultura e in una comunità.

venerdì 15 maggio 2015

Un abbandono è per sempre

Un abbandono è per sempre. Non ammette rimpianti. 

Non si tratta dell'abbandono di un'amicizia, di un partner, di una cosa o di un animale domestico (atto quest'ultimo, punito severamente dalla legge). Stiamo parlando di bambini, generalmente piccoli e quindi indifesi e incapaci non solo di badare a se stessi, ma soprattutto esposti per il resto della vita, al danno della convinzione di non essere stati sufficientemente amati.

"Quando sono nato è accaduto: mia madre ha partorito e non mi ha riconosciuto, così sono finito in istituto, figlio di un rifiuto, allevato come un detenuto, seduto, muto." (da: "Anoniman" di Frankie hi-nrg mc - incluso nel cd "DePrimoMaggio")

Nonostante la gravità dell'atto sia indiscutibile, ovunque le istituzioni sono pazienti e attendono che chi abbandona possa ripensarci, chiedono conferma, offrono aiuti per poter recedere da una scelta sicuramente dolorosa per la madre (e soprattutto per il figlio che la subisce). Le case famiglia e gli affidi esistono per questo per sopperire alle incapacità dei genitori per brevi periodi di tempo (poi, spesso diventano più lunghi, indefiniti e infine definitivi cioè fino a maggior età e oltre).

Se il figlio viene dichiarato adottabile significa che si è constatata l'impossibilità di reinserimento nella famiglia d'origine (succede anche nei casi di incuria o trascuratezza grave, violenza, ecc.). O che i genitori hanno reiterato, convinti, la volontà di abbandonare. A questo punto e non prima si può affermare che l'abbandono è per sempre. Non è reversibile.

La successiva adozione sarà legittimante. Significa che la famiglia che accoglierà il bambino sarà la sua unica famiglia. Significa non solo che sarà figlio dei nuovi genitori, ma anche nipote dei nuovi nonni e dei nuovi zii, fratello dei nuovi fratelli, cugino dei nuovi cugini e così via. Mentre per ascendenti e discendenti dei genitori d'origine pur continuando ad avere affinità genetiche sarà un estraneo.

Quando si sente parlare di veri genitori (alludendo a quelli originari) non ci si sta riferendo a un dato di fatto, non solo perché questo non sussiste, ma si sta esprimendo un giudizio negativo sull'istituto dell'adozione e si sta palesemente discriminando chi può definirsi legittimamente genitore, nonno, zio, fratello, cugino... e che dopo un po' di convivenza lo è anche in senso emotivo, affettivo, educativo, organizzativo, ecc.

Premesso ciò, se un figlio che sia stato abbandonato (adottato o meno) voglia cercare le proprie origini è giusto e legittimo come è altrettanto giusto che possa farlo senza pressioni psicologiche di nessuno, senza sentirsi snaturato se non ha desiderio di farlo, senza che questo venga considerato ovvio, inevitabile o indispensabile. Questa è una ricerca facoltativa che deve essere agevolata per chi ne ha desiderio, ma che non deve essere considerata indispensabile da chicchessia. Infatti la maggior parte dei figli adottati che ha avuto una nuova vita piena di cure e attenzioni non sente la necessità della ricerca; ha già una famiglia, una vita, un futuro.

La ricerca delle origini è quindi comprensibile e da facilitare quando ve ne sia il desiderio, ma la ricerca della discendenza no. Non deve essere ammissibile, non c'è nessuna giustificazione che ammetta la ricerca da parte di chi è stato l'attore principale dell'abbandono. Rimorso, nostalgia, desiderio di completezza, voglia di discendenza rimangano delusi. L'abbandono è per sempre per chi lo ha perpetrato.

Inoltre l'arrivo inatteso nella vita di chiunque di uno sconosciuto che dichiari di essere il genitore, il nonno o un altro parente, potrebbe essere più facilmente sconvolgente, drammatico e dannoso piuttosto che costruttivo ed edificante. Sarebbe anche difficile riuscire a comprendere, in merito all'abbandono, quali narrazioni siano veramente vere e quali siano invenzioni per giustificare un atto di cui ormai ci si vergogna.


martedì 31 marzo 2015

Adottare non è comprare

Il Comitato di Controllo per il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale ha dato parere favorevole e pubblicato ingiunzione sulla campagna pubblicitaria “Adotta un ragazzo” indicando che “….l’utilizzo del termine ‘adozione’ legato a quello di ‘ragazzo’ appare ambiguo e fuorviante, potendo suggerire un’impropria decodifica dell’adozione come un traffico di persone.” Di seguito trovate il testo completo della pronuncia, nel caso vogliate leggerla, diffonderla o commentarla (http://www.iap.it/2015/02/n-515-del-4215/) - testo in fondo a questo post.

Perché hanno scelto "adottare"

Per colpire il cuore tenero delle clienti, "comprare una compagnia maschile" (quello che effettivamente si fa tramite questo servizio) risulterebbe sgradito a molte di loro. Molto più coccoloso e simpatico adottarlo come si adotta un cucciolo, un trovatello... (si usano apposta termini quali: compagnia, coccole, per evitare qualsiasi riferimento sessuale sia per immagine sia per evitare di essere perseguiti per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione).

L'italiano permetterebbe l'uso di molteplici sinonimi altrettanto validi ed esplicativi: incontrare, accogliere, invitare, frequentare, cercare, trovare, ecc. Perché usare un verbo come adottare che legato alla parola ragazzo ha un significato ben identificabile e non centra nulla con l'attività dell'impresa che si pubblicizza con il marchio contenente l'immagine del carrello della spesa e del ragazzo che viene acquistato (messo nel carrello)?

La risposta, come anticipato, è semplice: mentre nel caso degli uomini rimorchiare una ragazza a pagamento (per i vari usi che se ne possono fare: compagnia, immagine, spettacolo, sesso, ecc.) può essere una pratica che culuralmente non stupisce nessuno. Per molte donne rimane un tabù e per la società risulta (incomprensibilmente) più riprovevole.
 
Così la mente criminalmente creativa di chi ha inventato il servizio ha pensato di renderlo più digeribile, più invitante, di impacchettarlo e infiocchettarlo utilizzando un termine che rinchiude in sé indubbi valori positivi: "Adottare". Probabilmente pensando più all'adozione dei cuccioli di animali che a quella dei bambini, altrimenti forse si sarebbe reso conto dell'inapropriatezza e dell'indelicatezza dell'operazione.
 
Ora, dopo i cospiqui investimenti (ad esempio per la pubblicità cartellonistica e sui media nazionali) è impensabile che questo servizio venga rinominato, ma riuscire a obbligare il sito a mettere in evidenza un messaggio che sottolineasse la profonda differenza del loro servizio con la pratica adottiva (cosa scontata per molti ma non per tutti) sarebbe estremamente gradito.


IAP - Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria

Ingiunzione n. 5/15 del 4/2/15
Nei confronti di GEB AdoptAGuy
Mezzi Affissioni
Prodotto Sito di incontri online
Articoli violati 10


Il Presidente del Comitato di Controllo visto il messaggio pubblicitario “adottaunragazzo.it – nuova applicazione mobile”, rilevato su affissioni nella città di Milano nel mese di febbraio 2015 ritiene lo stesso manifestamente contrario all’art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona - del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale. La comunicazione commerciale, volta a promuovere un sito di incontri dedicato alle donne, in cui gli uomini vengono messi in vetrina per essere scelti come un ‘prodotto’, mostra il disegno stilizzato di una donna che trascina il carrello della spesa in cui sta per finire un uomo. In basso sulla destra si legge il marchio con il carrello stilizzato “adottaunragazzo.it, nuova applicazione mobile”. Ad avviso del Comitato di Controllo tale comunicazione, per l’impatto che suscita l’immagine ed il significato che trasmette, si pone in contrasto con l’articolo 10 del Codice, che prescrive il rispetto della “…dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere.”. L’immagine, che riempie da sola il cartellone pubblicitario, enfatizza il concetto di ‘acquisto’ della persona, che viene posta in un carrello alla stregua di un qualsiasi altro oggetto, veicolando un messaggio offensivo e svilente. Mancano nel contesto elementi che possano in qualche misura connotare il messaggio di una valenza diversa, attenuandone la portata, e in assenza di ogni altro contenuto o significato anche l’utilizzo del termine ‘adozione’ legato a quello di ‘ragazzo’ appare ambiguo e fuorviante, potendo suggerire un’impropria decodifica dell’adozione come un traffico di persone.

Perché si critica l'eterologa?



Qualcuno ha chiesto "perché tutte le considerazioni poco lusinghiere (se non negative) del mondo delle adozioni nei confronti della procreazione assistita eterologa?"

I motivi sono molti e oggettivamente indipendenti dalle convinzioni etico-morali della questione eterologa. Quindi innanzi tutto non riduciamo tutto a un confronto ideologico, ma cerchiamo di essere logici.

L'adozione è difficile
  • quella nazionale per il numero esiguo di bambini rispetto alle coppie che si rendono disponibili 
  • quella internazionale per i costi che sono aumentati moltissimo (negli ultimi 10 anni quasi raddoppiati perché se in Italia c'è deflazione, nei paesi emergenti c'è inflazione (ad esempio)

L'adozione è lunga e complessa.
  • Alla coppia è richiesto un lungo percorso di maturazione verso l'accoglienza di un figlio "diverso da sè" e considerando le risorse quasi nulle destinate all'adozione si lavora molto sulla coppia prima, perché, dopo, il post adozione pubblico è inesistente e le difficoltà con minori sempre più grandi e/o difficili è lasciata alle risorse dei genitori.
  • I tempi di attesa non sono solo lunghi ma soprattutto incerti, le assenza dal lavoro in tempi di crisi e l'esborso di denaro in tempi di crisi sono ostacoli non trascurabili.
  • Si deve considerare anche la necessità di ritagliare altri tempi e risorse indefinibili successivi all'adozione per curare l'inserimento in famiglia e nel nuovo contesto ed eventuali "problemi" del figlio
Alla luce anche solo di questi pochi punti, risulta chiaro che risulti disarmante vedere come sia (virtualmente) facile cercare un figlio affidandosi alla procreazione assistita eterologa che è gratis o costa estremamente meno, che non richiede preparazione, maturazione, idoneità, che garantisce un figlio neonato e quindi senza i problemi tipici dei figli adottivi non più piccoli (6 anni di media); è disarmante come lo stato possa trovare le risorse per questo e negare servizi post-adozione all'altezza per aiutare le famiglie adottive (e non stiamo parlando dell'eresia di avere l'adozione gratis, cosa a quanto pare utopistica e impossibile); è disarmante quanto i servizi sociali e i tribunali per i minorenni siano ossessivamente attenti, pignoli, indagatori verso la preparazione delle coppie adottive e come invece il sistema sia condiscendente verso chi adotta i gameti e si fa un figlio in pancia.

La nostra considerazione è che sarebbe necessario un ripensamento complessivo verso le risorse da destinare alla famiglia (nello specifico quella adottiva ma non solo) e che lo svantaggio sarà dei bambini abbandonati a cui saranno preferiti uno o due gameti congelati.