martedì 6 ottobre 2015

La ricerca delle radici

Assistiamo alla pubblicazione di articoli e di libri, alla nascita di siti e blog, all'organizzazione di corsi, incontri e convegni che studiano, dissertano, discutono e infine promuovono la ricerca delle origini da parte degli adottati... descritta spesso come un'aspetto imprescindibile, indispensabile, e assolutamente necessario nella vita di una persona adottata.

Ma non dovrebbe essere un desiderio personale, un intimo bisogno del singolo adottato? Dobbiamo farlo diventare un fenomeno di massa? Vogliamo organizzare la marcia della ricerca delle origini?

"Ricordati che hai degli altri genitori!". L'insistenza nel proporre i genitori d'origine, la loro ricerca, la necessità del ritorno al passato per risolvere i malesseri del presente, la promozione di un bisogno che molti figli adottivi non percepiscono come una necessità (ne è prova l'effettiva incidenza percentuale del fenomeno all'interno della totalità degli adulti adottati) può essere dannoso per le famiglie adottive? Ed è lecito chiederselo?

Proviamo a rispondere a questi dubbi: innanzi tutto è lecito poiché entro certi limiti il destino delle famiglie adottive e della percezione che la società ha di loro dipende molto da piccoli segnali che possono essere ingigantiti dalla cassa di risonanza dei media. Così in un mondo che è sostanzialmente ignorante in merito a cosa sia l'adozione, l'adottare e l'essere adottati, ogni titolo, ogni trafiletto, ogni accenno giornalistico sull'adozione può focalizzare l'attenzione pubblica in modo significativo o fuorviante a seconda del contenuto.

Noi adottivi (genitori e figli) sappiamo bene che l'eventuale ricerca delle origini (che non sempre riguarda la ricerca dei genitori biologici, ma che può essere la semplice ricerca di luoghi, culture, linguaggi, odori, sapori... in una parola: delle radici) non è la negazione della valenza della famiglia adottiva, non è il segnale del fallimento dell'adozione, anzi ne è una testimonianza di efficacia e quindi la sua affermazione. In un senso incomprensibile, però, per tutti quelli che l'adozione non l'hanno toccata con mano, non l'hanno vissuta in prima persona.

Le persone comuni, hanno osservato la famiglia adottiva come se fosse un animale esotico, incomprensibilmente felice e unita (più o meno secondo i casi della vita, ma mediamente meglio della media delle famiglie tradizionali), con quel misterioso legame che non deriva dalla somiglianza, dal sangue o (più modernamente) dalla genetica, Dopo questa lunga e curiosa osservazione, finalmente possono esclamare: "vedi, lo dicevo io, a un certo punto devono cercare la vera mamma! lo sapevo che non poteva durare! lo sapevo che era tutto posticcio Provvisorio. Finto!". Sentite eccheggiare i soliti luoghi comuni di genitori veri e finti? Vi ricorda la frequente e antipatica allocuzione di "vera mamma" attribuita a sproposito a chi ha abbandonato i figli?

Ma cos'è? Ignoranza, invidia (e di cosa poi?), gusto di mettere il naso negli affari degli altri? Soddisfazione di essere meglio? Cosa li spinge a considerarci inferiori? E ne sono consapevoli?

Ignoranza innanzi tutto. Componente che non manca mai, sempre presente e spesso accompagnata da una buona dose di errata convinzione di avere capito tutto, di saperne abbastanza per giudicare, di avere ben compreso la chiave della situazione dopo aver letto quelle due paginette sulla dozzinale rivista che parla di programmi televisivi o di gossip.

Invidia, molto frequente dove si annida l'ignoranza. Come è possibile avere la forza di diventare genitori di un alieno, un figlio diverso da noi e assorbirlo nella famiglia fino a percepirlo omogeneo, sentimentalmente consanguineo, somigliante? Come è possibile percepire che è un'esperienza esaltante che non potranno mai provare. Come è possibile capire l'alchimia di diventare figli, sentirsi accolti non per caso, non come il risultato di una magica ricombinazione di gameti, ma di essere stati accettati e avere accettato e accolto nella propria vita i nuovi genitori, guarendo la ferita originaria di essere stati scartati, rifiutati una prima volta. Come è possibile capire che è altrettanto speciale? Non lo comprendono e, forse senza averne coscienza, sono invidiosi di tutto questo.

La curiosaggine, ovvero la curiosità finalizzata alla ricerca della magagna, del difetto, dell'aspetto negativo. Altro sport nazionale (e forse internazionale) e provinciale al tempo stesso. Siccome non si comprende fino in fondo il profondo legame genitori-figli adottivi, se ne ricercano i punti deboli, si è attenti a non lasciarsi sfuggire il minimo sintomo di incrinatura. Famiglie tradizionali, biologicamente e geneticamente omogenee crollano miseramente e si disgregano ma non importa, lì c'è il legame di sangue quindi probabilmente era inevitabile. Se una famiglia adottiva ha dei problemi non c'è dubbio: è a causa dell'adozione!

Per questo, per il bene dell'adozione e delle famiglie adottive si dovrebbe sempre sottolineare e ribadire ciò che noi sappiamo bene: la ricerca delle origini non sminuisce minimamente il ruolo dei genitori adottivi, non mette in dubbio la validità dell'adozione e non cancella il legame affettivo che i figli adottivi sentono (ricambiati) nei confronti dei genitori adottivi, risultati indispensabili e insostituibili. Senza di loro, la vita dell'adottato sarebbe risultata molto diversa (e probabilmente peggiore). 

Se qualche adottato adulto sente questo bisogno della ricerca delle origini, (bisogno imprescindibile per risolvere dei problemi personali non necessariamente derivati dall'essere stati abbandonati), è libero di cercare e di convincersi che quella delle origini è una ricerca senza la quale non si è completi, meno lodevole è la missione di convincere anche gli altri che non ne hanno necessità (come se volessero compagnia in queste loro scelte).

Ma occorre ribadire e far comprendere "agli altri" che questo desiderio, o bisogno, è profondamente personale. Un adottato può anche non percepirlo senza provare timore di essere insensibile. Ci sembra più che comprensibile che un adottato che vive una vita piena e completa, soddisfacente e ricca di rapporti umani e affettivi non senta la necessità di andare a scavare in un lontano passato, che non voglia scoprire persone e vicende quasi sempre deludenti, squallide o peggio, che rivolga la sua attenzione verso il presente e il futuro.

Oppure vogliamo continuare a credere sempre e comunque alla fatina dei denti e alle madri che hanno abbandonato i figli per amore verso di loro e non per altri motivi meno nobili. La forza biblica della storia di Mosé incombe sulla nostra cultura e pesa come un macigno. 


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