lunedì 11 gennaio 2016

Ancora la ricerca

Dopo aver letto dei commenti di chi insiste sulla assoluta necessità di organizzare l'incontro tra genitori d'origine e figli adottivi (o comunque abbandonati anche se rimasti in istituto) (www.italiaadozioni.it/?p=7592), vorremmo citare una risposta che forse può apparire cinica e brutale, ma che ben descrive oggettivamente la situazione:  

"... in quanto a pregiudizi, stereotipi, luoghi comuni (e anche favolette) la società è colma di storie lacrimevoli di mamme d’origine a cui hanno strappato ingiustamente i figli, di donne costrette da immani circostanze ad abbandonarli contro la propria volontà, di mamme “povere di spirito” a cui hanno sottratto il bambino con l’inganno, e così via. 
Storie del tipo: “Per salvare il figlio lo affidò alle acque del grande fiume adagiato con amore in una cesta galleggiante…” 
Meno conosciute e tramandate sono le numerose storie di violenza e abuso certo e reiterato verso un essere indifeso (anche solo l’abbandono è abominevole, figuriamoci la violenza), oppure le sordide storie di donne che hanno rifiutato la maternità come se fosse slegata dalla sorte della vera vittima, che non ha potuto scegliere, non ha potuto opporsi alla decisione di una donna che gli ha causato danno biologico, morale ed esistenziale ma che per un’anomalia di pensiero non è perseguibile, perché l’ha fatto nascere (anche se per farlo soffrire). 
Pensare male delle mamme è indelicato, ma ci sono mamme che non amano il bambino che hanno in pancia, ma la società non concepisce questa possibilità come reale. Anzi, si vuole il perdono automatico, la redenzione, il ricongiungimento, dopo vent’anni o più quando il figlio (che non è più loro figlio) è ormai grande e autonomo e semmai potrebbe diventare un valido aiuto verso la propria vecchiaia. Ci sembra molto comodo sfruttare i problemi esistenziali altrui per poter curare i propri rimorsi tardivi per averlo abbandonato “mollandolo” a una sorte sconosciuta (non a una vita sicuramente migliore, come nella favole, ma a un destino ignoto senza mamma).  
Fermiamoci in quell’istante. In quel preciso momento non c’è ancora l’adozione che cura l’abbandono, non c’è la possibilità o la probabilità o la speranza di una vita migliore… c’è un rifiuto e la prospettiva di un’esistenza in salita, senza certezze, a questo viene affidato il figlio che si abbandona. 
Molti figli abbandonati soffrono per tutta la vita questo rifiuto d’origine e per colpa di una società pronta a perdonare chi ha deciso e causato la separazione cercano in loro stessi il difetto, la causa dell’accaduto. 
Quando poi cercano di riannodare i fili della propria vita sono costretti a cercarli proprio in quella persona che ha causato il loro dolore. Almeno non dipingiamo di rosa quest’evenienza. Almeno non costruiamoci attorno simbologie e significati atti a cancellare le reali responsabilità. Non consideriamoli passi sufficienti a colmare il vuoto dovuto al rimpianto di chi ha abbandonato. 
La ricerca delle origini deve rimanere una libera facoltà solo per quei figli adottivi che hanno la necessità di percorrerla e la normativa non deve ostacolarla nel pieno rispetto delle parti e con le cautele necessarie."

Citiamo anche un altro post molto più soft che risulterà gradito a chi ama ancora le favole e le soap...

"L’amore, in generale, è un sentimento che viene dalle viscere. Non è solo “spirito”, nel senso di pura astrazione. Non è solo la mente ma è tutto il nostro corpo ad amare, a spingerci a desiderare profondamente, visceralmente, il bene delle persone che amiamo. Se l’amore fosse solo una questione di DNA allora ameremmo solo i nostri parenti, invece non è così. Si ama, infatti, anche il marito, la moglie, il fidanzato, l’amico; e li si ama in modo non meno viscerale rispetto a chi ha nelle vene il nostro stesso sangue. Ecco Perché le mamme adottive avvertono sin nella propria carne il legame con i loro figli. L’amore non ha DNA..." (Patrizia)

Cfr: La ricerca delle radici

 

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