lunedì 3 novembre 2014

L’adozione come parte di una storia

L’adozione, la condizione di figlio adottivo, come è noto, non costituisce uno stato patologico, una sindrome genetica. I figli adottivi non sono malati, ma hanno conosciuto un dolore speciale. 
Il solo fatto di essere stato adottato non è motivo sufficiente per dover affrontare una psicoanalisi. 
L’essere stato adottato è una condizione particolare, un dato fondamentale, costitutivo della identità di una persona; così come l’essere rimasto orfano della madre al momento del parto, essere nato da una madre rimasta vedova poco prima o poco dopo la nascita del bambino, essere figlio di una coppia che, proprio in coincidenza e a motivo della sua nascita si separa in un clima burrascoso; essere l’unico sopravvissuto di un parto plurigemellare…
Ciascuna di queste vicende umane, e di infinite altre, è parte importante della storia particolare del bambino e della sua famiglia, e, insieme, anche ragione di una esperienza intima emotiva-affettiva-fantasmatica ineffabile. 
Mai le parole, da sole, riescono a rendere chiara e piena la profondità dei sentimenti più grandi. 
Nella esperienza umana, nelle fantasie che suscita, l’adozione, nel cosiddetto inconscio collettivo, è percepita spesso come una stranezza, qualcosa di inquietante, perfino di infamante da bisbigliare all’orecchio o da scagliare come un insulto (bastardo!); fonte di romanzi famigliari, circondata, specie in passato, da un alone di sospetto e di mistero sacrale, come nelle tragedie greche e nei miti ebraici. 
Se funziona, invece, è l’unica cura conosciuta dalla specie umana, e non solo, che sia efficace per alleviare e rendere tollerabile la perdita dei genitori, specie della madre e l’esperienza traumatica dell’abbandono quasi sempre vissuto come un essere scartati, buttati via, rifiutati, e di ignorare, forse per sempre, chi ti ha portato in grembo, ti ha messo al mondo, ti ha dato la vita, chi ti ha abbandonato e, soprattutto, perché. Quand’è che si può dire che l’adozione ha ‘funzionato’? 
Quando ha consolato e alleviato sofferenze, medicato ferite, ridato il gusto di vivere e il sentimento finalmente sicuro di essere stato cercato, amato, prediletto, raccolto là dove eri stato lasciato cadere; la consapevolezza di essere stato addirittura, ‘scelto’ come figlio desiderato e insostituibile; quando gesti e parole hanno toccato alla radice del dolore e lo hanno reso tollerabile, comprensibile.


Di Augusto Bonato (giudice onorario c/o TM di Milano) tratto da "Quaderni di Psicoterapia Infantile" (ed. Borla) 

martedì 21 ottobre 2014

La maggioranza silenziosa che non cerca...

Da più parti viene sottolineato che oltre a un diritto la ricerca delle origini è anche una necessità imprescindibile per i figli adottivi. Ma la realtà degli adottati corrisponde alle convinzioni delle associazioni, degli psicologi, degli operatori, dei giudici della consulta, ecc...?

Basterebbe analizzare i numeri, ma i numeri sono sconosciuti, per ovvi motivi di privacy e perché non esiste nessun osservatorio permanente che riguardi l'adozione che si estenda oltre al primo anno post adozione, perché ci sono solamente state delle ricerche puntuali sugli adottati in anni scorsi ormai piuttosto lontani. Sulla ricerca delle origini, quasi nulla.

Ma quanti sono gli adottati in Italia?

Nemmeno questo dato è sicuro, ma possiamo raccogliere qualche dato parziale (da ISTAT, CAI, sito del ministero di giustizia) e fare qualche ipotesi:

Nel periodo 1993-1999:
  • le adozioni internazionali sono state 15262;
  • le adozioni nazionali sono state 6467;
per un totale di 21729. Le nostre stime indicano che sia ragionevole che più di 20mila di questi adottati sia ormai maggiorenne.

Nel periodo 2000-2013:
  • le adozioni internazionali sono state 42048;
  • le adozioni nazionali non si sa per certo, ma si attestano (per difetto) a circa un migliaio all'anno (1150 nel 2005, 1131 nel 2006) quindi ipotizziamo che siano state oltre 15000.
il totale dal 1993 al 2013, quindi, dovrebbe essere all'incirca di quasi 78mila adottati. Basandoci sulle percentuali riguardanti le fasce di età all'adozione, supponiamo che tra loro i maggiorenni siano 25mila. 

Questo dato riguarda l'ultimo ventennio in cui c'è stato un notevole incremento delle adozioni internazionali (anche se negli ultimi due anni la tendenza si è ridimensionata drasticamente) e forse un piccolo incremento di quelle nazionali. 

Negli anni precedenti al '93 è probabile che il numero delle adozioni nazionali e internazionali non superasse le 2500 unità annue complessive; ma ormai questi adottati sono adulti nella totalità. Partendo proiettivamente dai dati del 1993-1995, si può ipotizzare che complessivamente dal decennio 1983-1993 provengano dai 20 ai 25mila adottivi adulti che porterebbero il totale degli ultimi 30 anni a 50mila persone.

Si tratta di un numero ragguardevole di persone.

Allora ci chiediamo perché sia così esiguo il numero degli adottati adulti che partecipano agli incontri, ai gruppi di discussione, che si riuniscono in associazioni che riguardano la ricerca delle origini?

La risposta più ovvia suggeritaci da alcuni adottati ormai adulti è che non sono interessati all'argomento, che hanno improntato la loro esistenza rivolgendosi più al futuro che al passato che solo in parte conoscono. "Considero i miei genitori d'origine degli sconosciuti e non mi interessa cercarli." dice Giovanna; "Ho visitato il mio paese d'origine e l'ho considerato non diversamente da altri paesi che ho visto per turismo." è una frase buttata lì da Sara (ormai madre) e ben descrive lo stato d'animo di altre persone appartenenti alla maggioranza degli adottati adulti che non sente la necessità di cercare per forza un lontano passato.

Questo diffuso ed evidente disinteresse per i legami di sangue, però non deve giustificare qualsiasi azione che ostacoli la possibilità della ricerca delle origini, che secondo noi è un diritto imprescindibile degli adottati (almeno per la minoranza che ne sente la necessità), deve solo ricordare a chi ne fa una bandiera, che in realtà è una bandierina; deve ricordare a chi la volesse sfruttare come format televisivo che sarebbe meglio soprassedere; deve ricordare a tutta la società civile non adottata qual'è la realtà dei fatti: per la vita di un adottato la presenza dei genitori adottivi è stata e rimane una necessità, la conoscenza dei genitori d'origine (nonostante la funzione biologica) è opzionale.








mercoledì 17 settembre 2014

Adozione batte eterologa (infinito a 0)

I genitori adottivi sono consapevoli della diversità del loro figlio. Anche se è bianco come loro, con lo stesso colore degli occhi e dei capelli, con una fisionomia rassomigliante non si illudono, la diversità di provenienza c'è e non la ignorano, non la dimenticano; anzi in certo senso la esaltano, la raccontano con orgoglio, a volte con dolore, con speranza, con pazienza. La raccontano quotidianamente ai loro figli così tanto desiderati e amati, ma così geneticamente estranei.
I genitori adottivi sanno che hanno riempito un vuoto nella loro vita desiderando un figlio con la determinazione che solo un genitore adottivo può avere, pronto ad accettare rischi giuridici, sanitari, età e fattezze indefinite finché non lo si incontra. Ma sanno anche che così facendo hanno fatto rinascere un bambino che ha avuto una falsa partenza, che è stato vittima di profonde ingiustizie di cui la più grande è indubitabilmente essere rimasto senza genitori. La famiglia adottiva è la sola soluzione per dare risposta alla mancanza di un diritto primario: ogni bambino ha diritto a una famiglia che se ne prenda cura.
I genitori adottivi andranno incontro ai momenti di crisi, alle discriminazioni, alle richieste della conoscenza delle origini del loro figlio con la serenità di aver fatto incontestabilmente un atto d'amore. Di aver salvato una vita. Non potranno affermare di non aver fatto degli errori, ma potranno essere certi che li hanno commessi per amore e a fin di bene. Non si aspettano riconoscenza, l'adozione è accettazione, l'hanno fatta perché desideravano farla, era giusto così.
Nessuno mai potrà incolparli di aver fatto i genitori per motivi narcisistici, per il proprio benessere e basta. Il figlio esisteva già a prescindere dal loro intervento. Loro hanno fatto in modo che il bambino diventasse figlio e che avesse un futuro (migliore).
La vita di una famiglia adottiva è costellata di momenti difficili, ma è anche colma di gioie e soddisfazioni. In questa convivenza ci sarà il riserbo ma non il segreto. 
La famiglia adottiva, spesso non è compresa completamente dalle altre componenti della società, A volte viene considerata un ripiego, un adattamento, appartenente ad una classe inferiore, incompleta, come se il legame di sangue fosse indispensabile per un rapporto genitore-figlio. Niente di più falso!
Il legame è forte ed è cementato dalla certezza di essere speciali, di essersi incontrati, accettati... scelti.
I genitori e i figli adottivi sono pienamente consapevoli che quella che hanno vissuto è un'esperienza straordinaria e nessuno potrà mai toglier loro questa certezza.

Nella fecondazione eterologa tutto questo semplicemente non c'è.
Non si può mettere a confronto un'esperienza dell'anima con una metodologia bio-meccanica!

Grazie. 

Gabriele Cappelletti

martedì 9 settembre 2014

Eterologa batte Adozione 9 - 0

Dopo l'intervento della consulta e alcune polemiche sterili in sede politica e giornalistica, sono state pubblicate le linee guida stilate dalle regioni per implementare la fecondazione assistita eterologa. Ciò nella più assoluta mancanza di intervento normativo da parte del ministero e/o del parlamento. Le decisioni prese sono figlie della considerazione primaria che equipara la donazione di seme o di ovuli alla donazione di organi e quindi entra in gioco la legge della tutela della privacy (DL 196/03) che regola la protezione dei dati personali con particolare attenzione ai dati sanitari relativamente a quali ci sono numerose limitazioni. 

Se VOGLIO un bambino (la scelta del verbo non è casuale) e sono sterile (o lo siamo entrambi) posso scegliere tra fecondazione e adozione, sono percorsi molto diversi che portano a figli molto diversi. Ovviamente da questo confronto sono escluse le adozioni di figli già grandi che conservano vividi ricordi della vita pre-adozione). Facciamo un gioco, un incontro che vede contrapposte punto per punto le due pratiche (il punteggio è dato in base alla sensazione che esprime la gente comune):
1) La gratuità o il ticket (1 - 0)
  • La fecondazione assisitita eterologa è pagata dal servizio sanitario regionale e al massimo si paga un ticket (non è stato definito niente ma si dice dai 500€ fino a un massimo di 2500€) poi parzialmente detraibile dall'irpef come tutte le spese mediche. Anche se in realtà, come per le altre forme di fecondazione, per avere tempi ragionevoli si dovrà far riferimento ai privati con costi di parecchie migliaia di euro a tentativo).
  • L'adozione nazionale è gratis, ma è riservata a pochi, la maggior parte delle adozioni sono internazionali.  L'adozione internazionale costa da 15000€ fino a volte anche a 30000€. Solo metà della cifra può essere dedotta dall'irpef e solo se si rientra nelle fasce di reddito più basse si può ambire al rimborso del restante 50% (o del 25%).
2) Il rischio giuridico e il rischio sanitario (2 - 0)
  • L'eterologa è monitorata attentamente dalla sanità italiana. Come in tutti gli interventi e nelle gestazioni naturali il rischio sanitario è presente anche se in percentuale molto ridotta.
  • L'adozione nazionale ha in sé un alto grado di rischio giuridico (cioè la possibilità che il tribunale riaffidi il minore alla coppia d'origine prima del termine del periodo temporaneo precedente all'adozione). Nell'adozione internazionale il rischio prevalente è di tipo sanitario; le condizioni di vita delle madri e degli stessi figli prima dell'adozione non sono monitorate accuratamente, i paesi in cui si adotta sono affetti spesso da malattie endemiche, e da numerosi altri problemi che si ripercuotono sulla salute dell'adottato.
3) L'iter burocratico (3 - 0)
  • L'eterologa è come un intervento chirurgico quindi segue le prassi del servizio sanitario, esami preliminari, diagnosi, lista d'attesa, intervento, gestazione e parto.  
  • L'adozione comporta la compilazione della disponibilità, l'indagine finanziaria, l'indagine psicosociale dei servizi sociali, la loro relazione, il colloquio con il giudice, l'emissione dell'idoneità, l'inserimento nella lista d'attesa per l'adozione nazionale e/o la ricerca di un ente autorizzato per poter cercare un figlio all'estero, il corso dell'ente, la raccolta dei documenti da inviare al paese straniero, la loro legalizzazione, la loro traduzione, l'attesa della chiamata dalle istituzioni estere, il viaggio (fino a tre), la permanenza all'estero (fino a due mesi) il ritorno e l'espletamento delle procedure burocratiche di accoglimento del minore in Italia, un anno di monitoraggio dei servizi sociali.
4) L'indagine psicosociale, l'idoneità e i percorsi psicologici (4 - 0)
  • Nella fecondazione gli interventi psicologici e dei servizi sociali sono assenti o brevi o facoltativi, vengono forniti su richiesta anche a donatore e donatrice, le idoneità sono puramente di tipo medico.
  • Nell'adozione gli interventi dei servizi e degli psicologi sono fortemente invasivi, prima, durante e dopo. Si analizzano i singoli coniugi, si analizza la coppia, si chiede l'assenso dei futuri nonni, si ispeziona la dimora prima e dopo. Molto spesso ci si sente sotto esame e c'è sempre l'incognita di non risultare idonei e dover considerare l'ipotesi di ricorso. 
5) L'età del figlio (5 - 0)
  • Il figlio si ha da nove mesi prima della nascita.
  • Nella migliore delle ipotesi è abbandonato alla nascita e quindi ha pochi giorni, ma alcuni ragazzi vengono adottati in preadolescenza. Nelle adozioni internazionali l'età media è di oltre sei anni.
6) La gioia e l'orgoglio del parto (6 - 0)
  • Con la fecondazione ci si potra allineare alle madri naturali, biologiche, lamentarsi delle nausee, del peso, della fatica, delle voglie, si potrà giocare al "senti come scalcia" si proveranno tutte le gioie del portare una vita in grembo, non ci sarà elaborazione del lutto della mancata gravidanza, l'autostima non avrà cadute e il narcisismo procreativo si potrà esprimere liberamente.
  • Nell'adozione, niente parto, niente allattamento (raramente artificiale), niente nausee, niente mal di schiena, ecc. Le madri adottive dovranno sopportare tutte le ferite e le ingiurie di una società che esalta la procreazione come un atto magico (si da alla luce, è il miracolo della nascita, ecc.). Anche se è palesemente riconosciuto che spesso è promozione mercantile di prodotti per la prima infanzia o gossip di autopromozione della famosa di turno incinta che si pubblica col pancione.
7) Il racconto delle origini (7 - 0)
  • I figli della fecondazione eterologa non hanno diritto a sapere della loro origine. I loro genitori non sono tenuti a rivelar loro alcunché sulle origini. Potrebbero essere informati, ma potrebbero anche scoprirlo casualmente dall'evidenza di esami genetici o di familiarità alle malattie. (come succedeva nell'adozione parecchi anni or sono).
  • I genitori adottivi sono tenuti a raccontare ai figli la loro origine adottiva nei modi e nei tempi che riterranno più opportuni (generalmente con un racconto quotidiano progressivo in relazione all'età del figlio).
8) La segretezza delle origini genetiche (8 - 0)
  • L'eterologa prevede che la donazione sia anonima (cioè non deve essere possibile per il donatore risalire alla coppia ricevente e viceversa). I dati clinici del donatore / donatrice potranno essere resi noti al personale sanitario solo in casi straordinari, dietro specifica richiesta e con procedure istituzionalizzate, per eventuali problemi medici della prole, ma in nessun caso alla coppia ricevente. I donatori / donatrici non hanno diritto di conoscere identità del soggetto nato per mezzo di queste tecniche e il nato non potrà conoscere l’identità del donatore / donatrice.
    Alcuni esperti hanno previsto che, in applicazione della legge sulle adozioni e delle pronunce della Corte Costituzionale, e previo consenso del donatore, il nato forse potrà, compiuti i 25 anni, chiedere ugualmente di conoscere l’identità del donatore, è però solo un'ipotesi per ora senza nessun fondamento giuridico.
  • Nell'adozione, recentemente, la consulta si è pronunciata per non riconoscere il diritto alla segretezza della madre biologica che si è dichiarata "persona che non vuole essere nominata" in tutti i casi di figli non riconosciuti alla nascita (con effetto retroattivo). Tutti gli adottati, quindi. hanno diritto a cercare le proprie origini dal venticinquesimo anno d'età in poi. 
9) Il colore della pelle (9 - 0)
  • Nella fecondazione eterologa, non si potranno scegliere le caratteristiche somatiche del nascituro, ma il figlio avrà lo stesso colore di pelle della coppia ricevente, cioè per quanto possibile, si manterrà lo stesso fenotipo della coppia ricevente in relazione al colore della pelle, dei capelli e anche rispetto al gruppo sanguigno.
  • Nell'adozione qualsiasi preferenza dei genitori su etnia, razza e colore è deprecata (da servizi sociali, giudici, tribunali, enti autorizzati, istituzioni straniere, ecc)
10) Motivazioni (senza punteggio)
  • Chi vorrà un figlio a tutti i costi si rivolgerà quasi sicuramente alla fecondazione (a meno di impedimenti fisiologici perché in Italia non c'è ancora la madre surrogata). Avere un figlio con la fecondazione risulta essere un diritto, come si ha diritto ad essere curati per qualsiasi incidente o malattia.
  • Chi desidererà un figlio, pensando anche a salvare la vita di qualche bambino che si trova in difficoltà, potrà affidarsi all'adozione. A chi sceglie l'adozione, viene ripetuto sin dal principio dell'iter che avere un figlio è una possibilità, che l'unico diritto è quello del minore di avere una famiglia dove crescere. Potrà essere ancor più fiero della scelta, potrà recuperare molta autostima ed elaborare i vari lutti prima e meglio, avrà liste d'attesa meno lunghe e forse, sarà ritenuto una risorsa più preziosa per gli enti, le persone e il mondo dell'adozione.
  
IN CONCLUSIONE

Chi si rivolgerà all'adozione lo farà con la determinazione di chi non solo di desidera un figlio, ma che vuole raggiungere un figlio attraverso l'adozione. Ci saranno meno aspiranti genitori adottivi, ma saranno più convinti dell'avventura che li attende. E per i bambini abbandonati che attendono una famiglia ci saranno meno possibilità? Forse sì, ma loro sono lontani, non votano, non contano, non scelgono, non esistono...  



L'abbandono secondo HARUKI MURAKAMI

Murakami Haruki (in giappone sempre prima il cognome e poi il nome) scrittore prolifico che scrive romanzi in cui la realtà si mischia spesso in scene oniriche, immaginifiche, quasi fantasy, ha scritto tra gli altri "Kafka sulla spiaggia" in cui il protagonista principale è Tamura Kafka, adolescente con molta iniziativa e profondi pensieri e riflessioni. È un libro di oltre 500 pagine in cui spicca tra gli altri questo dialogo introspettivo di un paio di pagine, che tratta dell'abbandono e degno di essere riportato quasi integralmente.

Il protagonista di questo dialogo con se stesso si fa chiamare Kafka (Tamura è il cognome vero), e un quattordicenne scappato dalla casa del padre e che è stato abbandonato a quattro anni dalla madre che si è portata via anche la sorella. Con il padre appena morto, pur convivendo, non aveva nessun tipo di familiarità. Il ragazzo chiamato Corvo è figura immaginaria che lo aiuta ad affrontare la vita e che appare nei momenti significativi. In questo caso le riflessioni sorgono mentre si sta perdendo volutamente in un bosco piuttosto impenetrabile.

Dubbio.
Perché non mi ha amato?
Non avevo le qualità necessarie per meritare l'amore di mia madre? È un interrogativo che mi brucia e mi tormenta ormai da tanti anni. Se mia madre non mi ha amato, non sarà stato per qualche mia grave mancanza di fondo? Perché ho una natura fondamentalmente corrotta? Perché ho qualcosa di innato che spinge gli altri ad allontanare lo sguardo da me?
Mia madre, prima di lasciarmi, non mi ha nemmeno stretto fra le sue braccia, né mi ha degnato di una sola parola. Si è voltata e se n'è andata insieme a mia sorella senza dirmi niente. È scomparsa dalla mia vista in silenzio, come fumo. E il suo viso si è allontanato da me per sempre.

(...)

La mente di nuovo mi trascina nella mia casa, a Nogata. Mi ritorna in mente con chiarezza il giorno in cui mia madre se ne andò, portando con sé mia sorella. Io sono seduto sulla veranda e guardo il giardino. È verso il tramonto, all'inizio Io sono seduto sulla veranda e guardo il giardino. È verso il tramonto, all'inizio dell'estate, e le ombre degli alberi sono lunghe. A casa ci sono solo io. Non so come, ma già mi rendo conto di essere stato abbandonato, e lasciato lì da solo. Capisco anche che questo fatto avrà probabilmente un'influenza profonda e decisiva sulla mia vita. Nessuno me l'ha spiegato. L'ho capito e basta. La casa è vuota e deserta come un posto di guardia abbandonato su qualche remota frontiera. Il sole sta calando a ovest, e io osservo le ombre che pian piano avanzano, prendendo possesso del mondo. Nella dimensione del tempo, niente torna mai indietro. I tentacoli dell'ombra erodono il nuovo territorio un gradino alla volta, e anche il viso di mia madre, che fino a poco fa era lì, adesso è risucchiato in quel dominio freddo e buio. Il suo viso, che con tanta durezza si è rivolto altrove, rifiutando di guardarmi, è automaticamente sottratto alla mia memoria e si cancella progressivamente.
Pochi giorni prima ha conosciuto la signora Saeki, direttrice della biblioteca in cui si è rifugiato, e ha immaginato che fosse la madre fuggita quando era piccolo. Questa ipotesi si rivelerà poi fondata. Per ora, però per lui è ancora solo un'ipotesi.


Mentre cammino per la foresta, penso alla signora Saeki. Rivedo il suo sorriso pacato e lieve, ricordo il calore delle sue mani. Provo a immaginarla come mia madre che mi lascia solo, quando ho appena compiuto quattro anni. Istintivamente scuoto la testa. Mi sembra talmente improbabile, incredibile. Perché la signora Saeki avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Perché avrebbe dovuto ferire, danneggiare così gravemente me e la mia vita? Dovevano esserci una ragione importante e un senso profondo che rimanevano avvolti nel segreto.
Provo a sentire quello che allora lei deve aver sentito, a immedesimarmi nella sua situazione di allora. Naturalmente non è facile. Io sono quello che è stato abbandonato, e lei quella che ha abbandonato. Ma dopo un po' di tempo riesco ad allontanarmi da me stesso. Il mio spirito sguscia dalle rigide vesti dell'io e si trasforma in un corvo nero che si posa su un alto pino nel giardino, e da lì osserva me, bimbo di quattro anni, seduto sulla veranda. Mi trasformo in un corvo nero che formula alcune ipotesi.

— Non è che tua madre non ti amasse, — dice il ragazzo chiamato Corvo alle mie spalle. — Anzi, ti amava profondamente. Prima di tutto, bisogna che tu ti convinca di ciò. Il punto di partenza è questo.
— Però mi ha abbandonato. Mi ha lasciato da solo nel posto sbagliato ed è scomparsa. E questo - oggi lo capisco fino in fondo - mi ha provocato ferite e danni gravissimi. Se davvero mi avesse amato, perché avrebbe dovuto fare una cosa simile?
— Sì, le conseguenze sono state quelle che dici, — ammette il ragazzo chiamato Corvo. — Hai ricevuto ferite profonde, subito danni che ti porterai dietro per sempre. Provo una gran pena per te. Ma detto questo, bisogna che tu rifletta bene su una cosa: puoi ancora guarire. Sei giovane, e sei forte. Hai una notevole capacità di adattamento. Puoi curarti le ferite, alzare la testa e andare avanti. Per lei invece questo non è più possibile. È perduta: a lei non rimangono altre opportunità. Non è che qualcuno sia migliore di un altro. Semplicemente, chi possiede un vantaggio reale sei tu. È su questo che devi riflettere.

Io non rispondo.

— Il fatto è che tutto ormai è accaduto, — continua il ragazzo chiamato Corvo. — Non si può più rimediare. Allora lei non avrebbe dovuto abbandonarti, e tu non avresti dovuto essere abbandonato da lei. Ma le cose accadute sono come un piatto che si è rotto in mille pezzi. Per quanto uno possa tentare di incollarne i frammenti, non potrà tornare com'era in origine, non ti pare?

Annuisco. Per quanto uno possa tentare di incollarne i frammenti, non potrà tornare com'era in origine. È davvero così. Il ragazzo chiamato Corvo riprende.

— Anche in tua madre c'erano tanta paura e rabbia. Come in te adesso. Per questo allora lei dovette abbandonarti.
— Anche se mi amava?
— Sì, — risponde il ragazzo chiamato Corvo. — Sì, dovette farlo anche se ti amava. Quello che devi fare tu adesso è comprendere il suo stato d'animo di allora e accettarlo. Devi comprendere la paura e la rabbia che la opprimevano in quel periodo, e accettarle come se fossero tue. Non ereditarle e ripeterle. In altre parole, devi perdonarla. Naturalmente non è facile. Ma è quello che devi fare. Sarà la tua unica salvezza. È la sola opportunità che ti si offre.

Ci penso. Ma più tento di riflettere, più cresce la mia confusione. La mente è sconvolta, e ho tanti dolori nel corpo da sentirmi lacerare.

— Dimmi, la signora Saeki è mia madre? — chiedo.
— Ti ha già risposto lei, no? — dice il ragazzo chiamato Corvo. — Come ipotesi, è valida. È chiaro? L'ipotesi è ancora valida. Questo è tutto ciò che ti posso dire.
— Un'ipotesi che non ha ancora trovato una controprova abbastanza efficace.
— Esattamente, — dice il ragazzo chiamato Corvo.
— E io devo seguire seriamente questa ipotesi senza tirarmi indietro.
— Esattamente, — ripete il ragazzo chiamato Corvo con tono secco. — Un'ipotesi che non ha una controprova capace di confutarla è un'ipotesi che vale la pena seguire fino in fondo. Del resto, in questo momento è l'unica possibilità che hai. Non hai altra scelta. Devi seguire questa ipotesi fino in fondo, anche a costo di sacrificare te stesso. 

 — Sacrificare me stesso? — Qualcosa, in queste parole, mi risuona vagamente inquietante, ma non capisco perché.

Tuttavia lui non risponde. Un po' in ansia, mi volto. Il ragazzo chiamato Corvo è ancora lì, alle mie spalle, e cammina alla mia stessa andatura.
Che tipo di paura e di rabbia aveva dentro di sé la signora Saeki? E da dove nascevano? — gli chiedo mentre cammino guardando avanti.  
Tu che tipo di paura e di rabbia credi che avesse? — chiede il ragazzo chiamato Corvo, rimandando a me la domanda. — Pensaci. È una questione su cui devi riflettere bene, usando la testa. La testa serve proprio per questo.
 
Ci penso. Devo capire e accettare prima che sia troppo tardi. Ma non riesco ancora a leggere quei caratteri minuti che le onde lasciano sulla riva della mia coscienza. L'intervallo fra un'onda e l'altra è troppo breve.

— Io amo la signora Saeki, — dico. Queste parole mi vengono alle labbra con estrema naturalezza.
— Lo so, — risponde il ragazzo chiamato Corvo con tono brusco.
— È una sensazione che non avevo mai provato prima, — dico. — E in questo momento è per me la cosa più importante.
— Certo, è naturale, — dice il ragazzo chiamato Corvo. — È ovvio che per te sia così importante. Non è per questo che sei arrivato fin qui?
 
Però io ancora non capisco. Sono completamente smarrito. Tu dici che mia madre mi amava. Anzi, secondo te mi amava profondamente. Vorrei crederti. Ma ammesso che tu abbia ragione, io continuo a non capire. Non capisco come sia possibile che amare profondamente qualcuno voglia dire ferire quella persona in modo tanto crudele. Perché se così fosse, che significato avrebbe amare? Com'è possibile che succedano cose di questo genere?

Aspetto la sua risposta. Resto a lungo in silenzio. Ma la risposta non arriva. Mi giro. Il ragazzo chiamato Corvo non è più dietro di me. Sento, sopra la mia testa, un secco battere d'ali. Sei completamente smarrito.


domenica 4 maggio 2014

Un paradigma per l'accettazione delle personalità dei nostri figli


diffusa nel newsgroup da LIVIA BOTTA, (www.liviabotta.it, www.adozionescuola.it), pubblichiamo volentieri questa lettera molto significativa sull'importanza, per la società, dell'adozione come modello virtuoso di genitorialità e accoglienza.

Gent. ma dott. ssa Livia Botta,
dopo aver partecipato all' incontro di presentazione del Vademecum per insegnanti "Alunni adottati in classe" ed essermi iscritta al vostro gruppo on-line per leggere le vostre comunicazioni, ho seguito con interesse l'evoluzione del vostro lavoro insieme al dibattito interno.
Purtroppo non ho mai potuto partecipare attivamente a causa di molteplici impegni. Tuttavia ho sempre ritenuto di fondamentale importanza una riflessione ed un approccio conseguentemente adeguato intorno alle problematiche da voi trattate, anche in riferimento al fatto che "storicamente" la scuola dove insegno: Maria Mazzini di Castelletto ha sempre annoverato tra i suoi alunni molti bambini provenienti da un percorso di adozione.
Oggi, però, le scrivo non in merito ad una esperienza scolastica vissuta o praticata, ma a partire dal mio vissuto che in questi ultimi tempi mi ha fatto ancora maggiormente considerare quale sofferenza interiore i nostri piccoli o grandi alunni abbiano dovuto affrontare nel loro recente passato e quanto noi possiamo e dobbiamo aiutarli nel percorso di costruzione della propria identità senza commettere troppi sbagli!

...io sono nata in Italia da padre italiano e da madre francese, ho avuto la fortuna di aver vissuto una infanzia bellissima insieme ai miei genitori nella città di San Remo e di aver avuto l' opportunità di conoscere e parlare da subito due lingue, due culture poichè spesso trascorrevo le mie vacanze in Francia.
Nell'età dell'adolescenza ho accarezzato l'idea di stabilirmi in F, ma in seguito ad amicizie e occasioni ho scelto di rimanere in Italia e di studiare Teologia e Filosofia (e non Lingue e Lett. Straniere come avrebbero preferito i miei genitori).
Dopo il mio matrimonio mi sono trasferita a Genova dove non ho faticato ad inserirmi anche perchè qs città mi ricordava molto Marsiglia, la mia seconda città.
Nati i miei figli non ho "sentito" la necessità di parlare loro in francese poichè pur essendo madrelingua la ritenevo una forzatura che ci avrebbe condotti ad un cerimoniale sterile senza significato (ricordavo di aver letto di certe comunità germanofone in America Latina che hanno protratto questo uso per alcune generazioni senza molti esiti).
Quest'anno sono stata toccata da molti lutti familiari tra i quali la perdita di mia madre prima e di suo fratello, mio zio, poi. Era rimasto ormai per me l' unico parente in Francia.
Da quel momento ho cominciato a sentirmi  molto male a livello psicologico poichè ho visto ormai spezzati tutti i miei legami là.
In particolare, l'idea di non poter più sentire quella lingua parlata dalle voci dei miei cari (é evidente che mi rimane sempre la possibilità di ascoltare una trasmissione o una canzone...eppure...) mi ha procurato un sentimento di assenza, di vuoto, forse di abbandono, profondo come una voragine e perciò mi sento molto fragile.
E' una cesura che si é creata, che in qualche modo andrà ricucita, ma che al momento mi provoca una grande sofferenza che non so bene descrivere neanche io.
L'unico pensiero che mi ha confortata è stato il ricordo di quanto avevo scritto nel mio compito di italiano alla maturità (1983) in cui avevo sviluppato il concetto di cittadinanza fino a sentirsi "cittadini del mondo".

Nelle classi ormai da molti anni mi sono spesso rapportata con alunni adottati.
Le famiglie adottive, come ebbi l'occasione di dire ad un incontro in cui fui invitata anni fa, mi hanno sempre colpito per il fatto di costituire per le altre famiglie, cosìddette naturali, un paradigma per l'accettazione delle personalità dei nostri figli che a torto possiamo considerare come propri in senso deleterio.
Nelle relazioni tra famiglie adottive e non ho colto la possibilità di un circolo virtuoso di comunicazione tra affetti forti e un richiamo alla salvaguardia di una libertà profonda che dovrebbe essere il punto di partenza educativo per "ogni" bambino.
Tornando alla mia esperienza ecco questi non brevi pensieri per confermarvi, qualora ce ne fosse stato il bisogno, che l'attenzione che state ponendo su questo "focus" è davvero importante e che noi insegnanti, genitori, educatori e amici non dobbiamo fare altro che ascoltare, rispettare profondamente l'altro ed accompagnarci con discrezione nei nostri percorsi di uomini e donne nomadi che siamo.
Sarà lei, dott.ssa Botta, a decidere se qs mio racconto può essere di contributo alle riflessioni del vostro bellissimo gruppo, in tal caso la autorizzo a far circolare qs mia lettera.
Ringraziandola per il suo lavoro e l'attenzione prestatami, le mando i miei più cordiali saluti insieme all'invito di andare avanti nel vs progetto,

maria elisa riboldi

martedì 22 aprile 2014

Quando "naturale" è considerato intoccabile


Padri che abusano sessualmente dei figli davanti agli occhi complici, consenzienti, rassegnati o che non vogliono vedere della madre, genitori tossici che calmano i propri figli con le stesse sostanze che a loro fanno "tanto bene", padri violenti e alcolizzati che menano i figli insieme alla madre, madri con disturbi psichiatrici che trattano i figli con modi più adatti a sopprimerli che a curarli, madri che dopo il parto lasciano il figlio neonato sul treno, vicino a una porta o, peggio, vicino o dentro un cassonetto...

Questa è la punta dell'iceberg, sono le notizie che ci giungono dai TG e che leggiamo nella pagina di cronaca dei quotidiani, ma in scia a questi fatti eclatanti della cronaca nera ci sono molti più casi di piccoli e grandi maltrattamenti (dipende dagli occhi di chi li guarda o li subisce).

Privare il proprio figlio delle necessarie cure per motivazioni di credo religioso o per convinzioni personali e per questo compromettere la sua salute futura o la sua stessa sopravvivenza non è anch'esso un crimine?

E poi: sottomettere i figli a pesanti e quotidiane violenze psicologiche, dimostrare una completa indifferenza verso di loro e trascurarli fino al limite della sopravvivenza, dimenticarsi di loro abbandonandoli alla buona sorte, educarli a una vita senza dignità, al furto, all'accattonaggio, farli lavorare clandestinamente, usarli come manovalanza per la malavita organizzata...

Eppure in molte situazioni limite tutti sanno e nessuno sa, tutti scuotono la testa e mostrano compassione verso quei bambini, ma non fanno nulla. "Se chiami i servizi sociali, poi glieli tolgono..."
Mai sentita questa frase? Come se i servizi sociali fossero le SS, come se l'indagine non presupponesse la presenza di un giudice minorile, di un iter volto a recuperare la situazione senza allontanamenti non necessari. Meglio stare zitti e attendere gli eventi che a volte culminano tristemente nella morte del bambino. Poi si dirà che le istituzioni non hanno fatto niente per evitarlo...

E quando, casualmente, le istituzioni vengono a conoscienza del problema e intervengono? I media in questi casi, spesso, fanno un servizio pubblico alla rovescia: "Glieli hanno tolti e li hanno dati in adozione" (o in affido) e poi ore di testimonianze pro genitori naturali (a questo punto se centra l'adozione li chiameremo genitori d'origine), interviste strappa-lacrime ai due poverini privati della prole, agli zii, ai nonni, ai cugini, agli amici, ai conoscenti... tutti contro il tribunale, le assistenti sociali, tutti contro i ladri di bambini, tutti contro l'ingiustizia!

Tutti che mentono. 

In TV la verità vera è sempre difficile da trovare e in questi casi non emergerà mai. Emergeranno verità di parte che nasconderanno i veri retroscena delle vicende. I giudici e i servizi sociali per rispetto della vità privata del minore non appariranno in TV, non racconteranno la reale e tragica storia di quel bambino, perché parlarne in pubblico è un'ulteriore violenza inflittagli. Solo gli aguzzini parleranno, anzi urleranno, dopo le torture sottoporrano il proprio (ex) figlio anche alla gogna.
 

giovedì 27 marzo 2014

Limiti, confronti e sospetti



Essere giudicati per quello che si fa nella vita privata non è facile da accettare, mettersi a disposizione, farsi analizzare e rimettersi al giudizio di estranei per come si vive, anzi per come si intende la vita nella propria sfera privata, essere vagliati per come si organizza la propria esistenza può essere frustrante, può generare timori e nevrosi.

Se poi il giudizio non riguarda lo stile di vita in corso, ma quello che potrebbe essere nel caso ci affidassero un figlio, tutto diventa ancora più vago e insondabile, non ci sono punti di riferimento, non lo sappiamo nemmeno noi come ci comporteremo quando avremo un figlio, figuriamoci altri!

L'unica nostra speranza è che le persone che dovranno analizzarci e giudicarci siano all'altezza del compito, non abbiano pregiudizi, simpatie o antipatie (o almeno sappiano riporle), siano preparate e capaci. Noi possiamo sperare di immaginarci equilibrati, responsabili, coscienti dei nostri limiti, determinati a sostenerci e a concludere positivamente l'adozione, forti della ricchezza di risorse umane e mentali personali e di coppia che esprimiamo durante ogni incontro con chi ci ascolta.

Come comportarsi?

Essere troppo accondiscendenti non va bene... ci rappresenta troppo passivi; reagire alle provocazioni è negativo... meglio essere fermi e pacati, con le idee chiare; attenti a bilanciare bene: idee, concetti espressi e risposte tra i due componenti della coppia altrimenti sembra che la personalità di uno sia dominante sull'altra e che il desiderio adottivo non sia pienamente condiviso; è importante stare attenti alle parole che si usano.

Bisogna dimostrare l'avvenuta elaborazione del lutto della mancata generazione o il desiderio vero e sincero di accogliere un bambino 'estraneo'; raccontare bene la propria storia familiare prima e dopo il matrimonio, non dimenticando i momenti significativamente formativi; chiarirsi molto bene le idee in coppia prima di parlare con servizi sociali e giudici, parlarne tanto, diffusamente, apertamente, senza tacere le proprie paure al coniuge; cercare di essere empatici con chi ci ascolta. Parlando, ribadire i concetti, esprimersi rimanendo rilassati, osservare attentamente le reazioni di chi ci ascolta e chiarire i punti che possano rimanere oscuri, rettificare cercando di spiegarsi meglio nel caso ci si accorga di aver detto qualcosa che sia 'fuori luogo', la reticenza non è buon segno e l'estrema sintesi è spesso ritenuta reticenza; usare parole di compromesso, avverbi che mitigano i concetti (abbastanza, quasi, forse, ecc.).

Nessuno si aspetta dei laureati in adozione e quindi è lecito usare termini dubitativi come 'forse', 'può essere'; meglio usare termini positivi che negativi; non negare precedenti sentimenti antitetici agli attuali rispetto ai temi affrontati, ma sottolineare la differenza e il cambiamento; aneddoti e propri comportamenti significativi (senza esagerare). Sono preferibili rispetto alla pura teoria. In sintesi, se siamo veramente convinti di adottare, dobbiamo cercare di essere sinceri e soprattutto dobbiamo ben rappresentarci per come siamo, senza lasciare ombre di dubbio.

Poi capitano le delusioni, non a tutti, ma a tanti. Può capitare che gli operatori ci consiglino di lasciar perdere, insistano per sospendere l'indagine per "darci tempo per riflettere" o persino ci sconsiglino di continuare... altrimenti la relazione sarà negativa. E' la prima delusione, ma anche chi arriva alla relazione può ricevere una sentenza di inidoneità all'adozione internazionale del Tribunale per i Minorenni (per chi ne ha fatto domanda). Non è frequentissimo ma presso alcuni Tribunali accade più spesso che in altri. Diversi casi che di norma si risolvono presentando ricorso. Ma quando leggiamo "non idoneo" sentiamo un senso di fallimento, un timbro emotivo che dice "non sei all'altezza".

Ma come? Abbiamo letto la relazione assieme agli operatori dei servizi sociali, eravamo fiduciosi e contenti perché ci avevano descritto così bene, con parole che noi non avremmo potuto esprimere meglio, e poi cos'è successo? Qualcosa ci è sfuggito, forse mancava qualcosa? E soprattutto perché alle coppie che conosciamo è arrivata subito l'idoneità, cosa hanno raccontato di loro per 'sembrare' più bravi e sottolineo 'sembrare' perché più bravi non lo sono, ne siamo sicuri, anzi se dovessimo scegliere dei genitori non li vorremmo mai e poi mai...

L'altra delusione, anche se più diluita nel tempo, è non riuscire ad adottare con l'adozione nazionale (per chi ne ha fatto domanda). Vengono chiamate altre coppie e veniamo chiamati anche noi, la prima volta, in sala d'aspetto incrociamo fugacemente altre coppie, ci guardiamo e per la prima volta ci rendiamo conto che è una specie di competizione, chi sarà il migliore o chi saprà descriversi come migliore, avrà il premio: un figlio. Solo chi risulterà il più adatto, "la migliore famiglia per quel minore" come recitano le regole, già ma come viene deciso? chi lo decide? in base a quali caratteristiche? e per conoscere una coppia è sufficiente l'ora di "chiaccherata" che stiamo facendo con queste persone, oppure sarà importante la relazione dei servizi sociali (quella che non ci ha portato all'idoneità) o sarà quello che c'è scritto in tutti quei fogli di cui è composta la nostra pratica aperta sul tavolo e di cui non sappiamo nulla?

Dopo la prima ci chiamano altre volte e ci prospettano casi disperati o non ci parlano di bambini specifici, ma noi ormai sappiamo che se ci chiamano è perché stanno cercando dei genitori per qualche bambino. Alcune altre coppie ricevono in adozione dei bambini neonati (non riconosciuti alla nascita) e la coppia meno giovane, una bambina di quasi cinque anni con una storia difficile che farà vivere loro un'avventura molto intensa, combattuta e, alla fine, felice. Noi niente! Intanto procediamo con l'adozione internazionale. Riusciremo comunque a diventare una famiglia.

A questo punto la tentazione è forte: in cosa sono migliori di noi quelli che hanno avuto i bambini piccoli dall'adozione nazionale? L'invidia e un senso di ingiustizia si fanno strada e sono emozioni vere, forti e presenti anche se riusciamo a controllarle, sono manifestazioni del desiderio di diventare genitori che è presente in tutti noi e direi che sono sentimenti naturali, fisiologici. Ma non è solo invidia, è anche frustrazione perché questa è un'altra delusione, è come una nuova bocciatura: gli altri sono meglio di voi... 'non siete così bravi'.

Il passo successivo non è frequentissimo ma succede: alcuni di noi tramutano delusione e gelosia in sospetto; hanno scelto 'quelli' perché il cugino usciere del tribunale e amico dello zio del giudice, oppure perché lui è pediatra, oppure perché lei è avvocato, assistente sociale, ecc... Ne "Il barbiere di siviglia" di Rossini si recita 'La calunnia è un venticello..." e un noto ex presidente del consiglio soleva ripetere che "a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca". Così ci si sfoga. Ognuno può avere delle proprie opinioni a riguardo, ma non avrebbe senso vietare a pediatri, avvocati, assistenti sociali e cugini di uscieri di fare domanda di adozione, penso anche che le persone che abbinano i bambini ai genitori non siano così miopi da trattarli come permessi di parcheggio o licenze commerciali (ammesso e non concesso che ci sia corruzione nel loro rilascio).

Dovremmo anche riconoscere che ci sono professioni che portano a trattare certi argomenti con maggiore spigliatezza, realismo, esperienza. Come possiamo chiedere a un pediatra, a un assistente sociale o a una psicologa di non citare le proprie esperienze nei colloqui per l'adozione. Per un operaio, un contabile, un bancario, tutti senza figli è oggettivamente più difficile parlare di bambini e delle loro problematiche, non possiamo pensare che partano 'alla pari'. Ciò non toglie che anche persone appartenenti a categorie 'meno nobili' (non si offenda nessuno) giungano all'adozione nazionale avendo grandi doti umane e spiccate risorse personali.

Quindi risultano molto tristi le frasi che ogni tanto si leggono o si sentono dire da qualche deluso; frasi che gocciolano sospetti spesso molto generici sulle adozioni nazionali. Penso che nessuno possa escludere che qualche singolo caso di scarsa limpidezza si possa verificare, ma non si possono trattare con sospetto le tante famiglie che ogni anno accolgono bambini in adozione nazionale e che hanno diritto a vivere una vita lontana da ogni maldicenza.

martedì 25 marzo 2014

La dura realtà della vita quotidiana



Dopo i lunghi tempi di attesa finalmente i genitori esausti e felici tornano a casa con i figli nati lontano, hanno trascurato il proprio lavoro, hanno chiesto permessi, ferie, hanno prosciugato i loro risparmi, hanno diritto a una manciata di mesi di maternità, ma i tempi sono difficili e ci sono luoghi di lavoro dove non ci si può permettere di stare troppo lontani.

Allora? 

Loro (i figli) lo chiedono, dopo tante forzate novità e cambiamenti, vogliono avere qualche certezza di continuità, andare a scuola. La scuola che ricordano loro, dove non c'è competizione, dove si impara oralmente ripetendo ciò che l'insegnante dice ad alta voce, dove si è in tanti con pochi mezzi.

E vengono catapultati in un luogo infernale dove la lingua è diversa, dove i valori sono ribaltati, dove si sentono degli estranei, dove l'insegnante non ha il tempo e a volte nemmeno la voglia di dedicarsi al loro vero inserimento, conta il rendimento, il programma, la prova invalsi, conta la competizione (negata sempre, ma continuamente rilanciata da insegnanti e genitori narcisisti), dove l'adozione è spesso confusa con l'essere straniero, dove l'adottato è sinonimo di causa persa, merita giusto lo sforzo per portarlo alla sufficienza, magari con una spintarella regalata, non può essere portatore di valori superiori.

Considerato un "bambino fortunato", è stato strappato alla povertà, all'abbandono, ecc. con dei genitori che hanno molte risorse da spendere e che quindi sapranno compendiare abilmente alle carenze della scuola. "...per questo se i genitori aspettassero a mandarlo a scuola ancora un po' sarebbe meglio!"

Ma i genitori sono in difficoltà, lottano con la quotidianità, non hanno le giornate e la possibilità di inventare una vita piena di avvenimenti per i loro nuovi figli, stanno imparando a essere genitori e lo stanno imparando di corsa e con uno o più figli che non sono neonati... altro che pannolini e latte in polvere! 

E sono quasi soli in questa sfida.

Come finirà?

martedì 11 marzo 2014

Ripetere la "LETTERA DI UN'ADOZIONE"? - sondaggio...



“Lettera di un’adozione” è un progetto che ha avuto grande successo (tante lettere, spettacolo teatrale gradito e tanto pubblico alla premiazione). Si potrebbero convincere ItaliaAdozioni e il “Festival delle lettere” a rinnovare l’iniziativa. Cosa ne pensate?
SI – vorrei tanto condividere le mie emozioni e le mie esperienze con tutti gli altri.
SI – anche se non ho intenzione di scrivere ma solo di leggere le lettere di altri.
NO – non mi è piaciuta l’iniziativa.
NO – anche se l’iniziativa mi è piaciuta non la ritengo ripetibile.

martedì 11 febbraio 2014

Domande impresentabili e risposte convenienti



I servizi sociali e la loro indagine a volte sono preparati e cercano di comprendere e indovinare la propensione delle coppie all'accoglienza, alla resistenza verso gli ostacoli che incontreranno, le capacità genitoriali latenti (se non hanno figli) o i margini residui delle stesse (se hanno già figli). A volte sono impreparati, senza esperienza e si muovono secondo la manualistica studiata all'ultimo momento per far fronte all'occasione.

Durante gli incontri a volte si sentono domande e/o commenti che dobbiamo accettare proni (pena l'espulsione dal club degli aspiranti genitori adottivi). Dobbiamo morderci la lingua e rispolverare risposte da bigino delle adozioni. A turno il bersaglio sono l'aspirante mamma o l'aspirante papà secondo stereotipi tipici: lei sente il lutto della mancata gravidanza, lui subisce passivamente la scelta adottiva della moglie e segue a ruota, lei sentirà la presenza della mamma d'origine, lui dovrà accettare una prole 'diversa',  e così via.

Un paio di esempi di domande cruciali:


Allora vi sentite incinti?  

Risposta opportuna: Sì. Guardi ogni tanto ho persini le vertigini, qualche voglia e anche dei conati. 

Risposta da evitare: Ma come cavolo facciamo a sentirci incinti, dovete ancora scrivere la relazione, poi forse arriverà l'idoneità e poi ci faranno aspettare almeno due anni prima di prospettarci un figlio, nemmeno gli elefanti hanno una gestazione con tempi così biblici!

Immaginate che vostra figlia a sedici anni voglia cercare i genitori d'origine, come reagite?

Risposta opportuna: saremo molto collaborativi e cercheremo di aiutarla prima ad attendere l'età per poterlo fare e poi, se vorrà, a intraprendere la ricerca insieme a lei.

Risposta da evitare: Non le sembra una domanda prematura? Siamo qui a capire se riusciremo ad adottare un figlio che per ora è solo un'entità mentale, irreale e immaginata... ora lei ci chiede come reagiremo quando avrà sedici anni? Premesso che sarà informata e troverà la nostra collaborazione, siamo convinti che per quell'età avremo una conoscenza, una comprensione e un rapporto di familiarità con nostra figlia tale da permetterci di sapere cosa rispondere e come comportarci. 




mercoledì 29 gennaio 2014

Adozioni gratis. Ma sarà la soluzione?

Ecco la soluzione commerciale a un problema culturale:

"Firma per la gratuità dell’Adozione Internazionale (www.adozionebenecomune.org/)"


Cerchiamo di spiegare quali sono i contorni della materia:


Gli enti autorizzati, preoccupati del calo di disponibilità alle adozioni internazionali cercano la soluzione con la gratuità.

Premesso che in tempo di crisi l'aiuto economico ad alcune coppie che ne hanno bisogno sarebbe auspicabile non tanto per aumentare il numero delle adozioni, ma per un senso di giustizia sociale, la gratuità a pioggia risulterebbe un regalo anche a chi non ne ha bisogno. 


I meccanismi di finanziamento delle coppie aspiranti all'adozione porrebbero una serie di domande e dubbi pratici:
  • l'eventuale rimborso delle spese sostenute sarebbe a saldo, cioè ad adozione terminata, ma cose ne sarebbe nel caso di adozione non portata a termine?
  • l'iter può durare anche quattro e più anni quindi la coppia dovrebbe anticipare tutte le somme per parecchio tempo prima di ottenere il rimborso?
  • non sarebbe meglio proporre dei prestiti senza interessi (mutui) garantiti dallo stato sin dal conferimento dell'incarico all'ente?

Ma, in ogni caso, la gratuità risolverebbe veramente il problema del calo delle adozioni?

In realtà quando si partecipa ai convegni (degli stessi enti) sulle adozioni si scopre che il problema economico esiste ma non è il fattore principale, che il primo fattore è culturale.

Negli ultimi anni i paesi da cui provengono tradizionalmente la maggior parte dei minori in adozione hanno progressivamente alzato l'asticella delle richieste sulle disponibilità delle coppie adottive. Bambini sempre più grandi, con problemi di salute, fratrie numerose, ecc. (special needs)

La figura reale dei minori che giungono in adozione si sta allontanando sempre di più dal figlio immaginario che ogni coppia sogna all'inizio dell'iter. Gli operatori dei servizi sociali affermano che i bambini che arrivano sono mediamente e progressivamente sempre più compromessi. Ciò mette in maggior difficoltà le coppie che li accolgono e spaventa quelle che si accingono a decidere se seguire la via dell'adozione.

A questo punto mi sorge una domanda: forse sarebbe meglio investire i soldi per l'adozione, sugli interventi post-adozione di aiuto a tutte queste situazioni sempre più complesse che possono sfociare in veri e propri fallimenti adottivi. 

Ma le coppie che adottano internazionalmente, facendo notevoli sacrifici, sono sempre comunque numerose e il paradosso è che quello che riescono a ottenere gli enti in materia di disponibilità, non riescono ad ottenerlo i tribunali (che se ne lamentano) per i nostri minorenni nazionali. Quindi c'è chi (volente o nolente) adotta un siberiano di undici anni (o una brasiliana di dodici) dopo aver rifiutato un bambino nazionale di otto o nove. E risulta ancor più paradossale perché l'adozione nazionale è gratuita mentre il ragazzo russo costerà anche 20 o 30mila euro a quella coppia che farà tre viaggi in siberia per accoglierlo (per il Brasile si parla di quasi 60 giorni di permanenza).

Al quadro scoraggiante aggiungiamo, inoltre, le sirene sempre più insistenti dei sistemi "all inclusive" della procreazione assistita all'estero che vengono impostati dalle stesse agenzie di marketing della telefonia con slogan tipo: se fai il primo tentativo con la nostra clinica, il secondo sarà a metà prezzo, ecc. Procreazioni eseguite anche con metodologie al limite (o oltre) del lecito con nuove frontiere in Europa dell'est e che praticano tariffe molto più convenienti. 

Promesse di bambini neonati, sani e senza troppe implicazioni e complicazioni tipiche degli adottati (vedi: "10 buoni motivi perché è meglio artificiale che adottato").

martedì 28 gennaio 2014

Figli e genitori nell'adozione... persone VERE.

Vorrei fare alcune esortazioni destinate ai genitori adottivi e ai figli adottivi adulti

ai genitori adottivi:
  • avete lottato e sofferto prima per dimostrare di poter essere all'altezza del compito e per convincere il resto del mondo che era una buona scelta;
  • avete sofferto l'attesa, avete combattuto la burocrazia nostrana e straniera;
  • avete atteso per anni vivendo una gravidanza che nemmeno gli elefanti sarebbero in grado di sostenere;
  • avete viaggiato per il mondo incontrando culture, lingue, tradizioni così diverse e le avete condivise;
  • avete conosciuto angoli del mondo con aspetti di degrado e drammaticità sociale insopportabili;
  • avete accettato figli grandi, con storie terribili, con malattie sconosciute e se non lo avete fatto perché non c'è stata l'occasione, eravate pronti a farlo.
Ora mantenete viva la "coscienza al fosforo piantata tra l'aorta e l'intenzione" (De André) non dimenticatevi del coraggio che avete dimostrato, mantenetevi svegli e frizzanti, continuate ad essere una famiglia adottiva, anche trascorsi molti anni, riponete pure l'adozione in un cassetto ma che sia quello in alto, quello a portata di mano cosicché ogni tanto sia possibile rimetterla senza timore in centro tavola come una cosa bella preziosa da ammirare e tenere da conto.

agli adottati adulti:

non sottovalutate mai i vostri genitori adottivi, anche se ora che siete grandi li vedete imborghesiti e impantofolati vivere come cuscini sul divano di un'esistenza tranquilla non dimenticatevi che sono stati grandi atleti della vita, che hanno accettato sfide coraggiose, che tutti gli errori che hanno commesso con voi li hanno fatti per troppo amore e non certo per indifferenza (che è la vera antitesi dell'amore) se vorrete parlare di origini non abbiate paura di ferirli, dategli solo il tempo di togliersi le pantofole e di calzare nuovamente le scarpe da corsa lasciate loro il tempo di riassorbire quel paio di extrasistoli o il fiato corto che sicuramente proveranno per scarso allenamento e vedrete che per lo stesso motivo per cui vi hanno accolto, vi appoggeranno.


Si deve essere genitori veri per essere chiamati veri genitori


Veri genitori ?

Facciamo una digressione con qualche esempio pratico:

Sono un marito amato e perfetto, un giorno mi prendo una sbandata per una ballerina brasiliana e lascio la moglie (e i figli se ci sono)... Come vengo definito?
Sono un soldato che sta operando con alcuni commilitoni in una missione (di guerra, di pace, di protezione civile) a un certo punto per paura, disagio interiore, scappo e lascio tutti senza il mio apporto... Come vengo definito?

Sono in un gruppo di amici e stiamo vivendo un'avventura difficile, in montagna o in una situazione ambientale complicata. Alla prima occasione (senza avvertire) mollo tutto e torno a casa... Come mi chiameranno poi?

Chissà quante altre circostanze e casistiche possiamo immaginare, fidanzati e fidanzate, colleghi, soci, parenti e affini, eccetera...

Sono padre, scappo prima che nasca. Sono una neo-madre che ha dei problemi o meno, abbandono il bambino che ho partorito (figlio perché la biologia dice così). Come mi chiameranno?

Vero genitore!

Allora nei casi precedenti dove i "mollati" sono adulti: mogli, commilitoni, amici, fidanzati, soci, sorelle, ecc. si dovrebbe parlare di veri mariti, amici, soci, ecc.

Immaginate:

- Sai il mio VERO marito mi ha lasciato!
- Il mio VERO amico mi ha lasciato in Turchia senza soldi!
- Dovevamo sposarci ma la mia VERA fidanzata è andata con un altro!
- Il mio VERO socio se ne andato e mi ha lasciato tutti i debiti da pagare!
- Stavamo salvando una persona intrappolata sotto una casa crollata ma il nostro VERO collega se ne eroicamente andato impedendoci di farlo!
- Stava annegando e il VERO bagnino ha avuto paura e non si è buttato!

Ma in questi casi le vittime sono adulti e possono esprimere immediatamente il proprio pensiero, capire ciò che sta accadendo ed esternare il loro disprezzo verso chi li ha traditi...

I bambini no, sono doppiamente vittime, perché poi la società riesce persino a convincerli che quelli là sono i veri genitori, da cercare, da perdonare, da incontrare per ritrovare lo stesso naso o gli stessi occhi... io piuttosto li cercherei e chiederei loro un risarcimento per danno morale, relazionale e biologico.

martedì 21 gennaio 2014

Tutti siamo stati adottati!

Vorrei  ribaltare tutto quello che tradizionalmente si dice su genitori biologici e genitori adottivi (naturali, veri, surrogati, supplenti, succedanei, legali, legittimi, palliativi, fantasmatici, sostitutivi, originari, subentrati, di pancia, di cuore...)



Noi tutti siamo stati adottati




Siamo stati tutti adottati quando, alla nascita, i nostri genitori biologici hanno deciso di tenerci con loro e lo siamo stati anche quando, nei momenti in cui si sono trovati in difficoltà, hanno deciso di non abbandonarci. 

Quante mamme trovandosi in momenti di disagio anche grave hanno deciso di fare uno sforzo aggiuntivo e si sono tenute strette i loro figli, questa sì che è una scelta da vera mamma. 

Rinnovando l'impegno preso nel concepirci, in questi momenti anche i genitori biologici ci hanno adottato e hanno meritato l'appellativo di veri genitori.

giovedì 16 gennaio 2014

Che format!

Cerchi, soprattutto nella fascia di età che è alla soglia di una vita delusa e che non custodisce più nessuna speranza del domani, persone che sono state abbandonate da altre (padri, madri, figli) o che le hanno abbandonate, gli offri la fatica della ricerca che ti accolli, gli offri anche qualche soldo e la possibilità di andare in TV, la scatola magica che ammalia. ingolosisce e attira i semplici. 

Poi cerchi, cerchi e ancora cerchi e infine li fai incontrare (prima in privato in modo televisamente impresentabile) poi davanti alle telecamere inducendo la lacrima, il pianto contagioso, le facce tristi, i commenti più stucchevoli indegni persino di romanzi d'appendice del secolo scorso. 

Ed eccoti che hai inventato "find my family", geniale e pura spazzatura senza paragoni, nemmeno la Carrà faceva così pena anche perché i prescelti hanno figure infelici, sono brutti, obesi o con evidenti problemi di salute, sono poveri, vestiti male, sono quelli che comunemente vengono definiti dalla stessa TV (in altri programmi) degli sfigati.   

Hai speso poco per questo format, non pretendi ascolti da record, riempi il palinsesto e poi, se sei fortunato, te li doppiano anche e li trasmettono in giro per il mondo. Le disgrazie altrui sono un toccasana per i guardoni della TV che si sentono di colpo più vivi e più fortunati di come sono in realtà.

Ricerca delle origini e segretezza del parto

Ricevuta via email e degna di attenzione a prescindere dalle proprie opinioni in merito...

Gent.mi,
Portiamo a Vostra conoscenza la nota Richiesta di ritiro urgente delle proposte di legge n. 784 e 1874, la cui approvazione provocherebbe conseguenze nefaste a numerose persone, soprattutto donne”  inviata nei giorni scorsi dal Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) ai vari Firmatari delle proposte di legge succitate attualmente in discussione in  Commissione Giustizia della Camera dei Deputati.

Da: Fondazione promozione sociale [mailto:info@fondazionepromozionesociale.it]
Inviato: martedì 7 gennaio 2014 16:02
Oggetto: Richiesta di ritiro urgente delle proposte di legge n. 784 e 1874

CSA - Coordinamento Sanità e Assistenza fra i movimenti di base
10124 TORINO - Via Artisti, 36 - Tel. 011-812.44.69 - Fax 011-812.25.95
e-mail:
info@fondazionepromozionesociale.it - www.fondazionepromozionesociale.it
Funziona ininterrottamente dal 1970                                                                           
C.F.  97560130011
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- Egr. On. Luisa Bossa, Delia Murer, Ileana Argentin e Daniela Sbrollini (proposta di legge n. 784)
- Egr. On.li Michela Marzano, Chiara Gribaudo, Giuseppe Guerini, Lorenzo Guerini, Mauro Guerra, Maria Iacono, Vanna Iori, Francesco Laforgia, Simona Flavia Malpezzi, Giovanna Martelli, Pierdomenico Martino, Alessia Morani, Edoardo Nesi, Valentina Paris, Luca Pastorino, Alessia Rotta, Simonetta Rubinato, Veronica Tentori, Irene Tinagli (proposta di legge n. 1874)

OGGETTO: Richiesta di ritiro urgente delle proposte di legge n. 784 e 1874, la cui approvazione provocherebbe conseguenze nefaste a numerose persone, soprattutto donne.

Il Csa (Coordinamento sanità e assistenza fra i movimenti di base) al quale aderiscono le organizzazioni sotto elencate, e la Fondazione promozione sociale onlus che operano ininterrottamente, rispettivamente dal 1970 e dal 2003, per la tutela delle esigenze e dei diritti delle persone non in grado di autodifendersi (bambini privi di adeguato sostegno familiare, soggetti con handicap intellettivo in situazione di gravità, anziani malati cronici non autosufficienti, persone colpite dal morbo di Alzheimer o da altre forme di demenze senile, ecc.) chiedono alle S.V. di voler ritirare con la massima urgenza le proposte di legge n. 784 e 1874  per i seguenti motivi:

1. lo Stato non può rinnegare il solenne impegno assunto con varie leggi nelle quali ha precisato che le generalità delle donne che non avevano riconosciuto i loro nati potevano essere segnalate solo dopo cento anni e soltanto «a chi vi abbia interesse» (articolo 93, comma 2 del decreto legislativo 196/2003);

2. non è assolutamente fattibile l’interpello della donna che non ha riconosciuto il proprio nato «con la massima riservatezza» come ha stabilito la sentenza della Corte costituzionale n. 278/2013. Infatti le richieste dei figli adottivi di conoscere le donne che li hanno generati sono inevitabilmente prese in esame da un numero assai elevato di persone:  i giudici ed i cancellieri ai quali si rivolge l’interessato, i responsabili dei reparti maternità e gli addetti alla conservazione del plico in cui sono indicate le generalità della donna e del neonato, il personale dell’anagrafe tributaria nazionale incaricato di individuare gli attuali indirizzi delle donne, gli altri giudici e cancellieri (è assai probabile che le donne non abitino più nelle città in cui hanno partorito)  incaricati di contattarle. Inoltre le lettere di convocazione, indirizzate (su carta intesta del Tribunale o della Procura per i minorenni o da altro ente) alle donne per verificare la loro disponibilità ad incontrare i propri nati, possono molto facilmente essere aperte dai familiari della donna;

3. le richieste da parte dei figli adottivi di ricercare le donne che li hanno generati possono essere inoltrate non solo per fini amichevoli, ma anche per ricatti, denigrazioni e altre violenze. Al riguardo si fa presente che purtroppo vi sono anche figli adottivi che non ammettono il valore estremamente positivo del non riconoscimento da parte delle donne che assumono detta decisione in quanto consapevoli di non essere in grado di fornire ai loro nati le prestazioni occorrenti per il loro corretto allevamento ed una adeguata formazione. 

Di conseguenza non si possono escludere atti violenti dei figli adottivi nei confronti delle donne che li hanno generati.
Inoltre allarmanti e devastanti conseguenze sono destinate inevitabilmente a coinvolgere anche i componenti dei nuclei familiari costituiti successivamente dalle donne (coniugi, figli, nipoti, altri parenti), nonché gli altri congiunti (genitori, fratelli e sorelle). Occorre dunque riconoscere che la ricerca delle donne che non hanno riconosciuto i loro nati può essere causa di violenze non solo nei loro confronti ma anche nei riguardi dei loro nuclei familiari. 

Al riguardo ricordiamo che nell’articolo “Il desiderio di conoscere le proprie origini: un nuovo diritto?” pubblicato sul n. 103, 1993 della nostra rivista Prospettive assistenziali, Alfredo Carlo Moro (Consigliere di Cassazione è stato Presidente del Tribunale per i minorenni di Roma e dell’Associazione dei giudici minorili. Ha presieduto l’Associazione italiana per la prevenzione dell’abuso all’infanzia. Ha pubblicato, fra gli altri, il libro “L’adozione speciale” edito da Giuffrè. Di particolare importanza la sua appendice “La famiglia come bisogno fondamentale del bambino” al volume di Neera Fallaci, “Di mamma non ce n’è una sola – Voci di figli adottivi che raccontano la loro storia”) aveva segnalato che «l’esperienza dell’adozione ordinaria degli anni cinquanta, con la possibilità di ritorni dei genitori biologici, ci dice che ricatti economici sulla famiglia adottiva erano frequentissimi e assai pesanti, che interventi disturbanti sul ragazzo e sulla famiglia erano all’ordine del giorno, che molti ragazzi uscivano del tutto distrutti da queste esperienze».
Analoghe situazioni si erano verificate anche nei casi in cui i figli adottivi avevano rintracciato i loro genitori d’origine. Si ricorda che in base alla legge sull’adozione ordinaria non venivano interrotti i rapporti giuridici fra gli adottati ed i loro genitori d’origine, come invece è giustamente previsto dall’adozione legittimante;

4. i figli adottivi dovrebbero tenere presente che le donne che li hanno generati non solo hanno agito nel pieno rispetto delle leggi vigenti, ma soprattutto non hanno messo in pericolo la loro esistenza non abbandonandoli (come purtroppo numerose persone ancora affermano sia avvenuto per i neonati non riconosciuti senza tener conto della realtà) avendoli immediatamente affidati alle istituzioni preposte (enti sanitari, servizi sociali e Tribunali per i minorenni) affinché provvedessero tempestivamente a inserirli presso con idonee famiglie adottive.

Le decisioni del non riconoscimento sono state altamente positive in quanto hanno consentito dal 1967 ad oggi ad oltre 20mila neonati di nascere in strutture sanitarie idonee. Inoltre l’immediato loro affidamento alle istituzioni pubbliche preposte ha consentito a detti neonati di non subire le nefaste conseguenze del ricovero in istituto, come avviene purtroppo nei casi di riconoscimento da parte di coloro che non sono in grado di provvedere al loro allevamento diretto e alla loro educazione e istruzione.
Ne consegue che i neonati non riconosciuti e adottati dovrebbero avere sentimenti di riconoscenza nei riguardi delle donne che li hanno generati e che hanno scelto di non riconoscerli per consentire loro di poter crescere circondati dall’affetto e dalla protezione di normali famiglie.
Inoltre i figli adottivi dovrebbero tenere presente che l’adozione è una seconda nascita, che non annulla certamente la prima, equiparabile, come aveva affermato il dotto giurista Salvatore Lener su Civiltà cattolica, ad un innesto. Infatti se si procede, ad esempio, all’innesto di un pesco su un susino o su un mandorlo, i frutti, belli o brutti, buoni o cattivi, sono sempre e solo pesche, allo stesso modo di quando le radici sono di pesco. Poiché analoga è la situazione che si verifica con l’adozione, sarebbe necessario approfondire il vero significato e il reale ruolo delle radici di ognuno di noi.
Infatti l’essenza della filiazione e della genitorialità è costituita dai rapporti affettivi e reciprocamente formativi che si sono instaurati tra i figli (biologici o adottivi) ed i loro genitori (biologici o adottivi). 

Pertanto se il Parlamento non intende rinnegare gli impegni assunti dalle leggi con le donne che non hanno riconosciuto i loro nati, cambiamenti in merito possono essere disposti solo per le donne che partoriranno dopo l’approvazione della nuova legge;

5. dalle notizie in nostro possesso risulta che le richieste di conoscere le donne che li hanno partoriti sono presentate da una assai esigua minoranza di figli adottivi (a nostra conoscenza poche decine) di fronte agli altri 140mila fanciulli adottati, di cui oltre 20mila non riconosciuti.

Ciò premesso evidenziamo altresì che l’approvazione delle proposte da Voi presentate non garantendo più l’assoluto segreto del parto, creerà difficoltà devastanti alle donne che non intendono abortire e che nello stesso tempo sono consapevoli di non essere in grado di fornire le occorrenti inderogabili prestazioni ai loro nati.
Mentre riteniamo corretta l’accettazione delle decisioni delle donne che ricorrono all’aborto, riteniamo altrettanto corretto il rispetto della scelta delle partorienti che vogliano portate a termine la gravidanza e nello stesso tempo non intendono riconoscere i loro nati.
Ne consegue che le attuali disposizioni di legge non dovrebbero essere modificate per tutte le donne che non hanno riconosciuto i loro nati prima dell’entrata in vigore delle nuove norme.

Pertanto, in base alle considerazioni sopra esposte Vi chiediamo di ritirare con la massima urgenza la proposta di legge in oggetto.
Restiamo a disposizione e nel ringraziarVi per l’attenzione porgiamo cordiali saluti.
Maria Grazia Breda e Francesco Santanera           

Attualmente fanno parte del Csa le seguenti organizzazioni: Associazione Geaph, Genitori e amici dei portatori di handicap di Sangano (To); Agafh, Associazione genitori di adulti e fanciulli handicappati di Orbassano (To); Aias, Associazione italiana assistenza spastici, sezione di Torino; Associazione “La Scintilla” di Collegno-Grugliasco (To); Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie, Torino; Associazione “Odissea 33” di Chivasso (To); Associazione “Oltre il Ponte” di Lanzo Torinese (To); Associazione “Prader Willi”, sezione di Torino; Aps, Associazione promozione sociale, Torino; Asvad, Associazione solidarietà e volontariato a domicilio, Torino; Associazione tutori volontari, Torino; Cogeha, Collettivo genitori dei portatori di handicap, Settimo Torinese (To); Comitato per l’integrazione scolastica, Torino; Ggl, Gruppo genitori per il diritto al lavoro delle persone con handicap intellettivo, Torino; Grh, Genitori ragazzi handicappati di Venaria-Druento (To); Gruppo inserimento sociale handicappati di Ciriè (To); Ulces, Unione per la lotta contro l’emarginazione sociale, Torino; Utim, Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva, Torino.